Riprendiamo un post precedente per allargare il discorso, come si vedrà piano piano tutti i tasselli si compongono nel mosaico.
Abbiamo visto come la co-partecipazione dei lavoratori alla direzione delle aziende, sia un passaggio necessario per applicare la democrazia diretta. Abbiamo anche accennato che la democrazia diretta dovrà essere il nuovo paradigma fondante di un nuovo sistema economico, che pone l’economia come motore dello sviluppo della soggettività, anziché dello schiavizzamento di milioni di esseri umani e dello sfruttamento violento della natura e delle risorse, come avviene tristemente oggi.
Le necessità basilari saranno coperte per tutti gli esseri umani, senza distinzione. Sia che sia fornito un reddito di cittadinanza, piuttosto che dei servizi gratuiti, a tutti verranno garanti sanità, istruzione, alloggio e qualità della vita pari al soddisfacimento delle necessità minime. Va da se, che in un sistema che pone i diritti umani al centro di tutto, il lavoro sarà sempre più’ una scelta soggettiva. Sarà possibile dedicare il proprio tempo ad altro e questo aprirà il campo alla libertà umana e alla soggettività dello sviluppo della persona.
Garantire la libertà d’impresa sarà un compito dello stato coordinatore, fornendo a tutti gli studi sulla richiesta di prodotti da parte della popolazione. Questo potrà facilitare le decisioni imprenditoriali, anche per indirizzarle sui prodotti realmente necessari sul territorio.
Banche a partecipazione pubblica erogheranno prestiti a interessi di costo (senza interessi) per facilitare l’accesso al credito.
In seno alla collettività, che a quel punto si troverebbe a decidere, si aprirebbero prospettive nuove ed interessantissime. Infatti, se i lavoratori potessero decidere cosa fare dei profitti, insieme alla proprietà (imprenditore), è logico supporre che un compromesso ragionevole sarà di investire in parte i profitti (nuovo capitale) nell’azienda stessa. La logica conseguenza sarà l’espansione e la diversificazione della produzione, che porta con se la diversificazione del lavoro stesso e la creazione di nuovi posti di lavoro. Se tutte le aziende applicassero questa logica, non e’ difficile intuire che dei lavoratori ben remunerati –in quanto una parte dei profitti finirebbe direttamente nelle tasche dei lavoratori- alzerebbero i consumi, generando un virtuosismo nella collettività.
Finalmente si realizzerebbe l’equazione :
Più’ produzione=più’ ricchezza distribuita fra tutti= più’ qualità della vita per tutti.
Ma c’è’ molto di più di questo. In un impresa dove i lavoratori realmente prendono decisioni e acquisiscono lentamente parti di propietà e si legano allo sviluppo in un dato territorio, cadrebbe ogni interesse per ogni possible delocalizzazione dell’impresa stessa. Nessuno deciderebbe di privarsi del proprio benessere e del proprio futuro, se fosse in grado di influire nelle scelte dei consigli di amministrazione. Nessuno, più dei lavoratori, vorrebbe lo sviluppo di un azienda della quale diventano lentamente anche proprietari.
Inoltre, lo stato coordinatore, potrebbe imporre dei dazi su quelle aziende che decidono arbitrariamente di delocalizzare le produzioni. Con i soldi così recuperati, si potrebbe indennizzare i lavoratori, oppure aprire aziende a partecipazione pubblica dello stesso settore dei lavoratori licenziati.
Concludendo: come si vede creare nuovi posti di lavoro è solo questione che ci sia la volontà di creare uno sviluppo che non sia per pochi privilegiati, ma per tutti indistintamente. Ingredienti indispensabili: primo volerlo, secondo l’economia mista.
Vincenzo Barbarulli