Nel precedente post abbiamo iniziato ad accennare come ogni singolo individuo può difendersi dalla finanza internazionale. Proseguiremo, in ogni caso, ad approfondire il tema in futuro. Ma vista l’urgenza data dall’imminente collasso delle piccole e medie imprese italiane, sempre grazie all’incursione indisturbata della finanza internazionale, vogliamo capire subito come le aziende, gli imprenditori e i lavoratori (o come si chiameranno a futuro) potrebbero evitare il collasso. Se non avvenisse il cambio di rotta, questa dinamica causerà sicuramente la perdita del posto di lavoro per molti. Causerà anche, per tutti purtroppo, l’ulteriore peggioramento delle condizioni contrattuali e salariali in essere. Ergo, la Cina arriverà in Europa, nel senso che le condizioni dei lavoratori saranno molto simili, se non uguali (!).
Ho diversi amici e conoscenti che sono imprenditori e vedo che sono alle corde. Per cui risuona in me, con una certa urgenza, formulare alcuni suggerimenti. Non sto pensando solo a loro, ma sto anche pensando a tutte quelle famiglie che sono coinvolte nella crisi delle aziende e per tutti quei migliaia di imprenditori che si trovano nella stessa situazione disastrosa.
Ritorniamo alla basi dell’analisi già approfondita nel post precedente , ovvero
Se diminuisce il denaro in circolazione, ovvero quello che possiamo scambiarci, in pratica si limitano le nostre possibilità economiche, di produrre, di fornire servizi , beni , di erogare servizi primari e secondari, in pratica si induce una crisi economica.
Più vincoliamo al denaro i nostri rapporti di scambio, collaborazione, erogazione di servizi, più tutta la nostra azione si ferma se manca liquidità, perché non abbiamo lo strumento per scambiarci “equamente” beni e servizi. Più invece i nostri rapporti di scambio, collaborazione, erogazioni servizi ed altro li facciamo senza usare il denaro come mezzo, meno la mancanza di liquidità ci paralizza.
Se ne deduce che per difenderci da questo attacco della finanza è necessario collaborare e scambiarci beni e servizi senza basarsi sulla liquidità su cui loro hanno potere, nel nostro caso l’ EURO. Sto dicendo che è in gioco un vero e proprio cambio di valori, non si tratta di mere politiche economiche; senza un cambio di punto di visione globale si rischia un vero e proprio collasso economico, causato da una concentrazione finanziaria cieca e senza via d’uscita.
Le aziende, per diminuire la propria vulnerabilità agli attacchi (chiamati crisi), esse devono dipendere dal denaro in misura minore. E’ questo il criterio su cui sarebbe utile fondare la cooperazione tra imprenditori, lavoratori ed enti comunali.
Perché si dovrebbe creare un’azienda? E’ chiaro che chi ha profuso impegno e denaro in un’impresa, ma anche chi vi ha lavorato, si aspetta poi di alcuni guadagni che gli permettano non solo di sopravvivere, ma di vivere degnamente.
Ma allora qual è lo scopo di un’azienda? Non solo di migliorare le condizioni di vita di chi ci lavora a vario titolo, ma anche di produrre od erogare qualcosa che serva alla comunità; se -insomma- “migliora il bene comune“. Infatti, una comunità potrebbe non trarre alcuna utilità da prodotti o servizi inutili; se non addirittura potrebbero essere processi dannosi o distruttivi per la salute e l’ambiente. La realtà è che in virtù del profitto oggi esistono imprese che -di fatto- non si rivelano utili al benessere generale.
Esistono già centinaia di aziende che stanno ponendo il bene comune come priorità, rispetto al profitto, seguendo le indicazioni del pensatore-economista Christian Felber (in un post precedente trovate un video a riguardo).
Attualmente le piccole e media aziende arrancano per la mancanza di liquidi e per le imposte molto elevate, che fanno lievitare i prezzi e limitano gli acquisti.
Come primo passo bisogna tener presente le spese che ci tocca affrontare: quanto spendiamo in interessi per il capitale che necessitiamo in prestito per produrre, il pagamento dei fornitori, la distribuzione e certamente le tasse. La realtà è che i margini per questo tipo di imprese sono fisiologicamente limitati. Le grandi imprese e le multinazionali sono invece più competitive per svariate ragioni. Riescono ad avere utili favolosi, ma voglio sottolineare che è un modello produttivo ingiusto, violento e diseguale.
Le piccole e medie aziende, invece di lottare tra di loro in una eliminazione “fratricida”, dovrebbero creare una fitta rette di collaborazione. Questo, per potere competere con la forza delle multinazionali, magari creando una federazione di piccole aziende e quindi riuscire a diminuire i costi delle merci immesse sul mercato. Questo gli permetterebbe di avere qualche margine per sopravvivere, pur dovendo contenere i prezzi.
Certamente, la sproporzionata tassazione imposta alle aziende, sui lavoratori e sul consumo (IVA), dovrebbe essere rivista radicalmente. La tassazione, invece, dovrebbe essere trasferita verso le grandi rendite finanziarie, immobiliari e speculative.
Il grande tema epocale da affrontare è l’esiguità dei salari, ridotti all’osso dalla globalizzazione. Ma la lotta sindacale in questa epoca è poco percorribile.
Gli imprenditori incontrano difficoltà soprattutto nell’erogazione di salari dei lavoratori appena sufficienti a sopravvivere; per questo i lavoratori dovrebbero diventare, loro stessi, co-proprietari delle aziende. Ciò potrebbe diminuire il peso della tassazione. Senza dubbio si ridimensionerebbe il potere degli imprenditori rispetto ai lavoratori,per ma i rischi e i profitti dell’impresa verrebbero ripartiti più equamente tra tutte le parti in causa. Sto anche affermando però che i lavoratori dovrebbero assumere una maggiore responsabilità aziendale. Perchè, giustamente, diverrebero anche loro -in parte- degli imprenditori.
Penso si tratti di una concreta alternativa alla chiusura delle aziende, che porterebbe a che né l’imprenditore né il lavoratore, abbiano più la possibilità di sostentamento.
Inoltre, servirà che queste nuove aziende co-partecipate collaborino tra di loro, soprattutto senza uso di denaro ma con protocolli di intesa solidali, come fossero un corpo unico. Tutto quanto limiterà il livello di tassazione su tutti i passaggi di lavoro intermedi e diminuirà in generale l’incidenza del costo del denaro (usura) sull’economia.
Sicuramente, sarebbero da studiare le forme giuridiche più idonee per realizzare questa proposta: gli statuti di tali aziende, consorzi, federazioni, cooperative o federazione di cooperative. Quello che conta è che -di fatto- funzioni un rapporto d’aiuto e collaborazione all’interno di ogni azienda e tra le varie aziende, e verso la comunità.
Un esempio di modello di questa forma di collaborazione tra aziende è la cooperativa Mondragon (Paesi Baschi), la più grande del mondo, presente in 19 Paesi. E’ composta da 256 aziende attive nel settore delle macchie utensili, nell’industria automobilistica, edilizia, elettrodomestici, commercio al dettaglio, prodotti finanziari, assicurazioni e l’ 83% dei propri 95.000 collaboratori sono soci della cooperativa. Ognuno di essi ha diritto di voto nell’assemblea generale, dove viene eletto il consiglio direttivo che deve rendere del proprio lavoro conto all’assemblea generale. In questa cooperativa gli utili vengono in piccola parte distribuiti ai collaboratori e, per la maggior parte, reinvestiti verso il “fondo centrale per la collaborazione” che crea nuovi progetti e posti di lavoro. Sino al 10% dell’ utile netto viene destinato alla comunità o a progetti educativi ritenuti molto importanti ( per maggiori informazioni http://www.mondragon-corporation.com/)
Queste aziende dovranno progressivamente eliminare il peso e la dipendenza del costo del denaro, ovvero l’usura operata sui prestiti che richiedono alle banche. Ciò si attuerà -in parte- come ho appena spiegato, ed -in parte- erogando prestiti senza interessi ed anche grazie all’apporto della Comunità. I prestiti, allargando il discorso, potranno consistere in lavoro, materiale, strumenti, servizi, crediti riconosciuti tra le aziende e le Comunità ed anche in denaro governativo (nel nostro caso la moneta “estera” Euro) . Le Comunità , intesa sia come Comuni sia come cittadini singoli oppure associazioni, potranno supportare tali aziende se esse effettivamente si riveleranno utili al bene comune.
La grande distribuzione, legata a doppio filo alle multinazionali e al capitale finanziario, non potrà essere coinvolta nel progetto e verrà finalmente tagliata fuori.
Pertanto questi consorzi di aziende avranno la loro rete distributiva diretta; anzi, saranno le stesse Comunità che si occuperanno in parte della distribuzione. In questo modo si creerà un accordo diretto sull’imposizione del prezzo, attraverso un dialogo alla pari tra chi produce ed eroga servizi e chi ne usufruisce. I G.A.S. ( Gruppi di Acquisto Solidali) già sono l’esempio funzionante e concreto di questa collaborazione.
Come la cooperativa Mondragon e i G.A.S. esistono altre realtà funzionanti in tal senso. Esse sono probabilmente i modelli più significativi per proteggersi dagli attacchi della speculazione finanziaria ed in generale dalla decadenza di questa civiltà planetaria che ha basato il suo valore massimo sul denaro e sul potere.
Se invece, saremo abbastanza coraggiosi, inizieremo a riflettere su questi esempi concreti già esistenti. Per immaginare un nuovo modello produttivo, che sia per il bene comune.
Aggiornamento:
Nel post precedente abbiamo parlato anche di monete complementari come lo SCEC sempre per compensare la mancanza di liquidità , segnalo che all’incontro del 21 Luglio per Imprenditori organizzato da Democrazia MMT , il professor Fantacci e Amato della Bocconi hanno parlato di moneta dinamica, che si ispira ad esperienza già fatte anche su scala europea , dopo la seconda guerra mondiale, dove tra gli Stati non c’era bisogno di avere denaro per creare una rete di commercio.
Nei video 2-3 si parla di questa moneta dinamica e i due relatori fanno riferimento ad altre esperienze attuali oltre a quella che stanno attivando a Nantes, che sono in Sardegna il Sardex , ed in Svizzera la Banca Wirsi