Mentre impazza la polemica sui politici che cambiano casacca, si sposta l’attenzione dalle intenzioni degli elettori alla vita di palazzo. Ma il mandato elettorale non doveva essere un legame forte tra parlamentare ed elettore? Sembra che non sia così per colpa di un malagurato articolo della costituzione.
Facciamola una piccola proposta. Semplice, diretta e chiara. Quella di discutere la legge di iniziativa popolare presentata nel 1999 dal partito umanista denominata “norme di responsabilità politica”. Una vera rivoluzione rispetto alla circonvenzione d’incapace, parafrasando Magritte-La Valse Hésitation adottata da voltagabbana, opportunisti, corruttibili, cambiacasacca.
Partiamo da una semplice constatazione: l’Italia è una Repubblica parlamentare. Questo è ovvio, direi scontato, almeno fino a qualche anno fa. Cosa è cambiato? Semplice è apparsa all’improvviso, nel turbolento panorama politico italiano, la dicitura democrazia diretta . Senza capire cosa questa implica. Perché implica che i sovrani del reame, per così dire, non sono i monarchi (perchè i Savoia non contano più niente), ma neanche sono i cittadini. Sono invece, guarda caso, il Palamento e i parlamentari. In una democrazia diretta i cittadini dovrebbero diventare i veri depositari del potere. Oppure, se non è così, dobbiamo metterci anche d’accordo su che cosa si intende per democrazia diretta. Vero è che esistono tanti tipi di democrazia diretta, ma vero è anche che esistono solo sulla carta(!).
È, infatti, per lo più oggetto di studio da parte di specialisti, non esistendo ad oggi nessuno Stato che attui integralmente questo tipo di gestione. Sicuramente, ci sono degli stati più affini a quella che ad oggi possiamo considerare più che altro un idea, un intenzione. Ma l’ìntenzione è nobile; più che nobile cercare una via di applicazione nel Belpaese. Nel panorama internazionale l’esempio c’è già. Basta andare a guardarlo e studiarlo.
È l’esempio che viene dalla Svizzera oppure della California; con i loro referendum e con le loro leggi, appunto, di democrazia diretta. È possibile infatti a quelle latitudini, ed è anche successo veramente, raccogliere le firme per revocare il mandato a un sindaco “ inadempiente”. Come dire: io elettore il voto certo che lo do; ma al contempo mi riservo anche di revocarlo. E non è una logica da poco. Chi non rispetta i patti se ne va a casa. Quindi più che “tutti a casa”, che per lo più rimane uno slogan inapplicabile, a casa ci va chi veramente inganna, tradisce, commette reati, usa la carica per fini personali, eccetera. Con una piccola differenza: non dobbiamo più aspettare cinque anni canonici ma possono essere anche solo cinque mesi, per esempio. Lo decidiamo noi.
In sostanza quello che stiamo proponendo da tempo, è che tutto il potere venga lentamente trasferito nelle mani dei cittadini. A questo scopo esistono vari strumenti già noti come i referendum (propositivi abrogativi e a quorum zero), consultazione on-line, approvazione diretta da parte dei cittadini delle leggi più importanti e della legge finanziaria. A tutto questo possiamo aggiungere una vera e propria telecamera in grado di riprendere le azioni più importanti, che legherà l’eletto all’elettore. Ovvero, periodicamente l’eletto -per esempio un parlamentare- dovrà rendere conto ai propri lettori del suo operato. Dovrà rendere conto dell’avanzamento punto per punto del programma. È da questo legame inscindibile e molto forte che potrebbe nascere un nuovo rapporto tra eletti ed elettori.
Questa rivoluzione, si chiama legge di responsabilità politica, di conseguenza un politico diventa responsabile di quello che promette sotto elezioni. E chi non mantiene le promesse, viene mandato a casa. Ma in base a quello che fa. Noi cittadini ci riserviamo di togliergli il voto quando ci pare. Questa l’estrema sintesi della legge.
Questa proposta di legge giace in Parlamento da quattordici anni e non è mai stata esaminata.
Forse adesso è arrivato il suo momento: chiediamo ai parlamentari del Movimento Cinque Stelle di disseppellirla e di portarla alla discussione in aula.
Tra l’altro, riflettendoci un attimo, abrogare l’articolo 67 della costituzione non risolve il problema dell’infedeltà dei parlamentari. Se venisse fatto solo questo ci troveremo ad avere gli eletti ancora più liberi di prima. Vincolare, diversamente, il mandato ad una squadra della quale non si può più cambiare maglia, sarebbe riduttivo, come minimo. Sempre parafrasando Magritte-La Valse Hésitation “Il voto è un contratto tra elettore ed eletto ed è più importante di un contratto commerciale”.
Quell’articolo, il n°67, fu inserito nella carta perché la preoccupazione dei costituenti era quella di salvaguardare la libertà di coscienza dei parlamentari da eventuali vincoli con forze esterne al parlamento stesso, cioè lobbies o poteri forti di diversa natura. E’ una norma che risale addirittura alla rivoluzione francese. La realtà, ovviamente, ha dimostrato quanto sia insufficiente la presenza di questo articolo per garantire l’indipendenza di ogni parlamentare che, prima di essere un eletto nelle fila di un partito, è nel momento in cui entra in parlamento soprattutto un rappresentante del popolo, di tutto il popolo e non solo di una parte di esso.
Allora, piuttosto che modificare la costituzione, se davvero vogliamo “onorare un contratto”, facciamo una bella legge ad hoc. Basta aprire gli archivi impolverati del Parlamento ed approvarla. Confidiamo in voi parlamentari del M5S. Fate discutere ed approvate il prima possibile la proposta di legge di iniziativa popolare denominata “Norme sulla Responsabilità Politica”, presentata alla Camera dei deputati nell’ VIII legislatura, il 4 Marzo 1999. Verrete ricordati per sempre come quelli che de facto introdussero i primi passi concreti di democrazia reale nella Repubblica Italiana. Non mi sembra cosa da poco.
Vincenzo Barbarulli
Bel post!
Mi sarebbe anche piaciuto vedere in campagna elettorale un sostegno del PU al M5S, almeno sul tema della democrazia diretta.
Grazie per l’apprezzamento.
Il PU non ha sostenuto alcun partito. Come PU sicuramente come e con altre realtà della società civile ci applichiamo per abituare la popolazione a divenire il sovrano e prendersi di conseguenza tale responsabilità che significa dedicare tempo e passione a studiare le tematiche a cui saremo chiamati a decidere.