Testo intervento di NINO GALLONI.
Visione dell’euro
Allora, dicevo, prima di tutto sgombriamo il campo da un equivoco, che può riguardare anche la mia posizione sull’Euro, io considero l’Euro un qualcosa di mal fatto, mal nato e mal pensato, che come poi dirò meglio non è neanche una moneta, è un insieme di regole sbagliate, che in parte sono state applicate in modo miope e in parte non sono applicabili.
E questa è una visione direi storico-razionale della cosa, come cercherò poi di dimostrare nella prima parte di questo mio intervento, poi ci sono altre due posizioni sull’Euro, più o meno irrazionali, sicuramente la più irrazionale è quello della difesa, come dire apodittica, incondizionata
e acritica, dello stesso, di cui tu hai parlato prima e non aggiungo nulla. Poi c’e un’altra posizione che è in parte irrazionale, in parte no, che è quella dei complottisti per cui l’Euro sarebbe il frutto di un progetto che, come dire, poggia le sue radici negli anni ‘30 e in una visione di asservimento dell’Europa, meditata in ambito di alcuni circoli esoterici che però poi ci ritroviamo a dirigere il Bilderberg e altre situazioni.
Perché non condivido pienamente questa visione complottista, perché nella mia lettura di ricercatore dei fenomeni storici ed economici, ma anche nella mia esperienza di direttore del ministero del lavoro, mi sono accorto che questi cosiddetti poteri forti, non sono forti per niente se trovano qualcuno che li contrasta. Quindi da una parte la loro preoccupazione è quella di piazzare personaggi a loro favorevoli che non li contrastino, dall’altra però quando poi per eventi vari, che si chiamino Roosvelt, si chiamino Kennedy o via dicendo, c’è qualcuno che li contrasta, chiaramente questi poteri forti perdono completamente questa loro prerogativa.
Quindi il fatto che siano gnomi della finanza, dell’alta finanza i Rockefeller, i Rothschild eccetera, che stiano li a tramare contro l’umanità è ampiamente dimostrato, ma che poi l’effetto dei crimini contro l’umanità sia ascrivibile in modo diretto, continuativo e sistematico alle loro riunioni, alle loro trame, alle loro chiacchierate, questo mi lascia delle notevoli perplessità; e con ciò non voglio stroncare la posizione complottista, sia chiaro, o la ricostruzione di eventi e di fatti di un certo tipo.
[…]
L’evoluzione degli accordi monetari
Allora riprendiamo il filo del discorso e vediamo come siamo arrivati anche all’Euro, ma questo lo farò rapidamente visto che in pratica è più un ripasso quello che sto cercando di fare.
Partiamo come al solito dal 1944, in cui vengono decise due cose: una più importante e una più conosciuta. La cosa più importante è che i paesi leader del pianeta, che sono quelli che poi ribadiranno i loro accordi poco dopo a Yalta, si rendono conto che, per far crescere l’economia mondiale, occorre
che i paesi leader, i paesi forti aiutino quelli che vogliono dotarsi di un apparato industriale o comunque essere autonomi economicamente.
Si parla di apparato industriale perché come potrete intuire negli anni 40 il clou dell’economia non era tanto l’agricoltura o i servizi, ma era l’industria pesante, l’industria metalmeccanica, in parte l’industria petrolchimica che cominciava.
La seconda cosa è quella più conosciuta e che riguarda la moneta, cioè, al di là di quella che era la posizione di Keynes che fu battuta e superata da quella di White si decise di agganciare il dollaro, secondo un rapporto fisso di 35 dollari appunto per un oncia di oro, all’oro e, conseguentemente, tutte le altre valute che erano agganciate in modo fisso, a cambio fisso, con ’oro potevano corrispondere a quel valore che era necessario per garantire almeno ai non residenti di convertire la propria moneta in dollari e i dollari in oro.
Abbiamo un quasi trentennio di grande sviluppo, in cui sicuramente il Paese che fa progressi maggiori è l’Italia, la quale si troverà appunto negli anni settanta ad aver superato inaspettatamente l’Inghilterra, avvicinare la Francia, minacciare da un punto di vista della sua competitività la Germania, ma l’anno più importante di cui tu hai parlato è il 1971, quando cade uno degli elementi fondamentali, ma non il più importante, degli accordi di Bretton Woods e cioè la convertibilità in oro del dollaro per i non residenti.
Perché è importante questa data? Perché dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che le teorie cartaliste erano erano corrette, cioè che fondamentalmente la moneta poteva esistere senza avere un valore intrinseco, poteva essere un pezzo di carta che per convenzione o per corso forzoso, per legge, veniva come dire utilizzata pro soluto o pro solvendo, a seconda dei casi, di tutti i debiti.
Ma perché questo avviene nel 1971? Perché è a partire da quel periodo, anno più, anno meno, per la prima volta nella sua storia, perlomeno nella sua storia plurimillenaria, perché poi c’e una storia anche precedente dell’umanità, l’umanità si trova a superare le condizioni di scarsità materiale.
Cioè i beni e i servizi, parliamo del cibo, parliamo di vestiario, parliamo di mezzi di trasporto potenzialmente non sono più scarsi, cioè ce n’è più che abbastanza. Questo fa si che ovviamente, mentre in precedenza la centralità nell’economia fosse del produttore, perché comunque c’era domanda e, quindi, è l’offerta che corrispondeva, alla domanda perché la domanda comunque rimaneva parzialmente insoddisfatta; dopo questa data la centralità è nella capacità di vendita dei prodotti e quindi sembrerebbe rafforzarsi l’enfasi assicurata dalla teoria keynesiana al momento appunto della domanda del consumo e via dicendo.
E qui tornano anche come dire alla memoria le ricerche di quel Kontradieff che infondo aveva preceduto Keynes di almeno 10 anni, pur facendo una brutta fine perché aveva sbagliato Paese.
Però, ecco qui, negli anni 70 che cosa succede? Succede che a questo sganciamento dell’oro dal dollaro e alla ripresa delle classi medie all’interno dei singoli Paesi, occidentali, di cui hai parlato tu – ma c’è anche un forte come dire subbuglio che proviene di Paesi produttori di petrolio – per cui comincia una fase definita dagli studiosi di erraticità dei cambi. In realtà che cosa succede durante gli anni ‘70? Che i paesi più deboli non riuscendo a vendere all’estero abbastanza o perché stanno importando troppo devono svalutare la propria valuta, la propria moneta, mentre i paesi forti avendo un eccesso di esportazioni e via dicendo, devono rivalutarla. Però pian piano, durante gli anni ’70, e si arriverà al G7 fondamentale del 1979, si va alla rottura della logica lungimirante e di equilibrio di Bretton Woods, cioè si arriva all’idea, di cui è come dire il principale testo di riferimento “Il dibattito proibito” di Fitoussi, al fatto che ciascun Paese dev’essere responsabile dell propria bilancia dei pagamenti. Questo vuol dire che se un Paese debole non riesce ad equilibrare la sua bilancia commerciale dovrà aumentare il tasso di interesse per attirare i capitali e riequilibrare la bilancia dei pagamenti. La bilancia dei pagamenti ha fondamentalmente due componenti, quella commerciale – import export – e quella dei capitali. Quindi se non riesce a riequilibrare con la bilancia commerciale deve riequilibrare con la bilancia dei pagamenti. Viceversa i paesi forti, non dovendo più rivalutare il proprio cambio, abbassano il tasso di interesse, perché non sono interessati a ricevere ulteriori capitali, perché la loro bilancia è già in equilibrio.
La farsa della crescita economica insostenibile
Il risultato di questa politica è invece il disequilibrio cronico perché si crea un sistema che come tale è insostenibile a differenza del precedente. Perché i Paesi deboli diventano sempre più deboli – perché aumentare il tasso di interesse significa fare meno investimenti e diventare meno competitivi, quindi peggiorare la propria bilancia commerciale e quindi dover accelerare sul pedale dell’aumento dei tassi di interesse – viceversa i paesi forti diventano sempre più forti perché riducendo il tasso di interesse hanno maggiori opportunità di investimenti anche tecnologici e anche di crescita della propria competitività.
Con gli anni ‘70 emergono fondamentalmente 3 o meglio 4 grosse tendenze culturali le quali poi saranno all’origine di tutte le rovine successive. La prima è che scoperto che non ci sono più limiti materiali, ovvero monetari, alla crescita dell’economia, si impone un altro limite che è quello ecologico, dell’ambiente. Quindi nascono, con il Club di Roma o meglio Peccei e un certo tipo di ambientalismo o ambientalismi, la teoria diciamo così neo malthusiana secondo la quale la crescita dell’economia e delle industrie in tutti i Paesi del Pianeta, vedi India, vedi Cina e via dicendo, sarebbe insostenibile per le risorse del pianeta e per la sostenibilità dei livelli di inquinamento. In realtà le equazioni o l’equazione che propone il Club di Roma è un’equazione non corrispondente alle cose. E’ un equazione lineare in cui aumentando la produzione aumenta proporzionalmente la quantità di agenti inquinanti e il consumo delle risorse, per cui si arriva a un punto in cui non è più sostenibile il modello. L’economia non funziona così. L’economia è una funzione che all’aumentare delle quantità produttive diventa conveniente introdurre delle tecnologie che risparmino le risorse più scarse e che riducano la quantità di agenti inquinanti per unità di prodotto, soprattutto se ci sono delle politiche in tal senso, che lo impongano ovviamente. Quindi se io imprenditore so che ho una legge che mi impone di ridurre e abbassare l’inquinamento, io devo introdurre le tecnologie per evitare di pagare multe, tasse e via dicendo. Questo è il punto. Quindi l’equazione che esprime come lo sviluppo, soprattutto industriale, determini inquinamenti o consumo di risorse pregiate o scarse o non rinnovabili non è un equazione lineare. E’un’equazione differenziale con derivate parziali per cui ,in effetti, il problema è se tutti quanti fanno una politica che renda conveniente l’introduzione di tecnologie sempre più avanzate, in grado di risparmiare risorse pregiate per unità di prodotto, ovvero quantità di inquinanti per unità di prodotto. Questo è il cuore della faccenda.
Il rapporto inflazione/moneta era valido nel 1500
La seconda ondata culturale nefasta è quella che riguarda il rapporto tra aumento dei mezzi monetari e inflazione, cioè che ci sia un rapporto diretto fra le due cose. In realtà con il legame della moneta con l’oro la difficoltà per definire la giusta quantità di moneta nasceva proprio dal fatto che l’equazione è un equazione differenziale con derivate parziali rispetto al problema della quantità di oro che c’era nel valore intrinseco della moneta. Dopo il 1971 invece l’equazione che descrive la quantità di moneta diventa un’equazione lineare. Cioè ci vuole tanta moneta quanta ne domandano gli investimenti buoni e necessari che si vanno a ipotizzare. E quindi la teoria che l’aumento della moneta determini un aumento di inflazione dimostra tutta la sua infondatezza. E infatti chi la sostiene vince il premio Nobel per quelle che sono le contraddizioni della specie umana…
E in effetti il rapporto tra mezzi monetari e inflazione è determinato dalla quantità di beni e servizi che questa moneta è in grado di comperare. Se, cioè, i beni e servizi sono scarsi come poteva essere nel passato è chiaro che l’aumento di mezzi monetari determina inflazione. Ma non perché si inflazioni la moneta, ma perché non ci sono i beni e servizi da comprare e quindi la scarsità determina l’innalzamento dei loro prezzi. Faccio sempre l’esempio di quello che successe in Europa durante il 16° secolo quando arrivarono metalli preziosi dalle Americhe, dal nuovo mondo, e furono monetati. La gente andava a comprare beni, soprattutto cibo e vestiario, ma non c’erano perché le capacità tecnologiche del tempo non erano in grado di corrispondere al tipo di bisogni che venivano veicolati da questa nuova moneta. E quindi ci fu la botta inflattiva tremenda eccetera.
Il “modello renano” ma solo per pochi
La terza ondata diciamo così culturale che ci interessa e che caratterizza gli anni ’70 è l’abbandono del modello delle economie di scala. Cioè, in nome del fatto che ci sono le rigidità produttive e dall’altro, del quarto elemento, diciamo così, di cambiamento culturale di quel periodo – e cioè la diversificazione e la segmentazione della domanda da parte dei consumatori che, durante gli anni ’60, ovviamente, hanno cominciato ad imporre i loro gusti e la diversificazione delle loro richieste – viene messo in crisi il modello delle economie di scala e quindi il modello dei costi decrescenti che ha caratterizzato lo sviluppo capitalistico fino a quel periodo. In realtà non è che cambia questa caratteristica dello sviluppo capitalistico, ma viene a cambiare il substrato culturale fondamentale. Fino a quel punto la forza e la caratteristica del Paesi cosiddetti a democrazia industriale, industrializzati, o sviluppati o in vario modo definiti stava nel fatto che i sindacati imponevano e ottenevano aumenti salariali. Conseguentemente il lavoro diventava una risorsa sempre più costosa e diventava conveniente introdurre tecnologie per risparmiarlo. Questa innovazione tecnologica a sua volta garantiva profitti, salari alti, tasse che potevano servire per sviluppare i servizi sociali, per cui tutto il sistema si basava su questa distribuzione dei guadagni di produttività, che è tipica delle economie di scala, delle teorie dei costi decrescenti e anche del cosiddetto modello renano. Perché poi è curioso che la Germania applichi un modello a se stessa di bassi tassi di interesse, di alti investimenti tecnologici, di elevati salari e di spesa pubblica in equilibrio e poi non voglia che quello stesso modello possa essere applicato dai paesi vicini. Questa è un’altra di quelle contraddizioni.
Richiesta la riduzione della democrazia
Dunque, questi 4 fenomeni di cui abbiamo parlato e, allora, in nome dell’alternativa, cioè, praticamente, della teoria invece dei costi crescenti, vengono richiesti riduzioni di democrazia, di presenza dei sindacati e degli stessi salari dei lavoratori. Perché se i costi sono crescenti e c’è la globalizzazione il mantenimento di elevati salari determina perdita di competitività e, conseguentemente, chiusura delle aziende. Questo è il motivo su cui e stata poi favorita e introdotta la nuova politica del mercato del lavoro.
La separazione tra Banche Centrali e ministeri del Tesoro per creare debito pubblico
Con, adesso non sto qui a ripetere, appunto l’81 e la netta separazione tra le Banche Centrali e i problemi di fabbisogno dei Tesori, dei Governi, però va appunto sottolineato il caso italiano perché – mentre noi avevamo lo stesso regime che aveva per esempio l’Inghilterra – durante gli anni ’80 la Banca d’Inghilterra, se il Governo era in difficoltà, stampava Sterline, mentre la Banca d’Italia non solo non stampava più Lire, ma non comprava neanche più – come hai ricordato e poi come ho scritto anche in un mio testo – i Titoli. Per cui se ad un asta non veniva venduto il 100 per cento dell’offerta, veniva venduto per esempio l’80 per cento, sull’altro 20 per cento aumentavano i tassi d’interesse e poi su tutta l’offerta veniva applicato quel tasso di interesse.
Questo è il meccanismo cosiddetto dell’asta marginale che ha prodotto quell’innalzamento degli interessi per cui poi il nostro debito pubblico è esploso. E poi è culminato nella nota vicenda dell’89 in cui ci fu l’accordo – come lo ricordo en passant, perché adesso credo che la maggior parte di voi abbia visto anche quei video dove io approfondisco anche la mia esperienza personale al Ministero dell’Economia, che allora si chiamava in un altro modo, ma non cambia la sostanza – in cui praticamente l’accordo tra Mitterand e Khol: Mitterand che si preoccupava di indebolire la competitività della Germania, ma in cambio era disposto ad appoggiare la riunificazione dopo o con la caduta del muro di Berlino. Finché poi, alla fine, anche Andreotti abbandona la posizione filo-americana ed euro-scettica e diventa anche lui dalla stessa parte diciamo così di Guido Carli, diciamo di Ciampi ecc., che erano quelli che io chiamo gli euro-estremisti che avrebbero in seguito portato fino all’Euro. Non si è capito bene se sia stato scaricato dagli americani o se li abbia scaricati lui, il risultato non cambia e, praticamente, in Italia inizia una deindustrializzazione forzata per consentire all’accordo fra Khol e Mitterand di essere, come dire, operativo. Quindi noi assistiamo durante gli anni novanta alla svendita di tutto il nostro patrimonio industriale. Pensate che industrie leader mondiali venivano vendute, appunto, o meglio svendute al valore di magazzino, come se fossero delle aziende decotte o perse, per cui poi c’era tutta la campagna,chi è più anziano se la ricorda, contro le partecipazioni statali, contro l’industria pubblica; quando invece poi queste partecipazioni statali, con tutti i loro lati oscuri in termini di corruzione, di nomine eccetera, che erano mostruosi, però avevano e hanno contribuito a far grande l’Italia in quel senso perché, comunque, erano considerate imprese altamente competitive sui cosiddetti mercati internazionali.
Che adesso di queste cose ne abbiamo solo dei resti, tuttavia ancora abbastanza efficienti.
1992: le banche fanno da ammortizzatore sociale per prolungare l’insostenibilità del sistema
Quindi nel ’92 va in crisi quel modello che aveva sostituito gli accordi di Bretton Woods secondo cui i Paesi deboli dovevano aumentare i tassi di interesse per riequilibrare la bilancia dei pagamenti e i Paesi forti potevano ridurre per non rivalutare i tassi d’interesse e quindi si rafforzavano. Nel settembre del ’92 c’è la crisi del mercato obbligazionario e la fine di quel modello diciamo monetario. Nel frattempo che cosa è successo? Che i redditi delle famiglie si sono ridotti del 40 per cento; questi sono i dati della situazione che conosco di più degli Stati Uniti d’America e, quindi, praticamente, si sarebbe dovuta ridurre alla fine degli anni ’80, all’inizio degli anni ’90 l’economia, la domanda e conseguentemente la produzione ugualmente del 40 per cento, quindi la crisi doveva cominciare con il crollo del mercato obbligazionario. Invece che cosa succede? Succede che le Banche fanno da ammortizzatore sociale cioè prestano alle famiglie denaro con il quale le famiglie vanno a comprare i titoli in Borsa e con i guadagni di Borsa finanziano la differenza fra i loro redditi da lavoro – ridotti a causa della flessibilizzazione ben del 40 per cento – e il livello dei consumi che viene ripreso. E pagano anche gli interessi ovviamente alle banche che hanno fatto il prestito.
Il boom della Borsa che va dal 1992 al 2001 deriva dal fatto che si sviluppano queste nuove tecnologie, che i tassi d’interesse appunto sono crollati, quindi riprendono gli investimenti, ma il mercato anche borsistico e quindi la proprietà delle imprese viene dominata dai grandi fondi pensione, dai grandi investitori istituzionali, i quali comprano pacchetti di controllo. Mentre il singolo risparmiatore o le famiglie di cui ho parlato prima comprano, come potrebbe capitare a chiunque di noi se avessimo risparmi in esubero, partecipazioni di minoranza e quindi ci accontentiamo di una certa remunerazione del capitale, invece gli investitori istituzionali, i fondi pensione si sentono obbligati nei confronti dei loro sottoscrittori a mantenere gli impegni che avevano preso nel decennio precedente quando i tassi obbligazionari erano intorno al 7 per cento reale. Quindi impongono al management delle imprese di raggiungere questo 7 per cento.
Il saggio di profitto non è più rischio di impresa, ma è anticipato scaricando il rischio sulla società
Quindi praticamente lo shift off da obbligazioni ad azioni fa sì che il profitto – o meglio il saggio del profitto che nel capitalismo come lo avevamo conosciuto fino a quel tempo è una conseguenza del rischio dell’impresa e, quindi, giustifica che l’imprenditore o l’impresa lo incameri perché ha affrontato un rischio, dando un contributo sociale all’occupazione, alla produzione, eccetera – con il ’92 e con la presenza sui mercati dei capitali dei grandi investitori istituzionali, dei grandi fondi pensione, viene abbandonato quel modello culturale. Cioè in sostanza il rischio viene scaricato sulla comunità, sia lo Stato, siano le famiglie e il profitto viene anticipato rispetto al ciclo del prodotto, cioè: mi devi dare il 7%; obiettivo che non è difficile da raggiungere in quei campi di alta tecnologia, innovazione eccetera, dove si fa più profitto in pratica o nelle nicchie, ma che praticamente è impossibile da conservare o da mantenere nella gran parte dell’economia che è cosiddetta tradizionale e cioè produzione di commodities e altro. Per cui si impone il taglio dei lavoratori più anziani e più esperti, si chiudono i centri di ricerca e questa economia entra in crisi. Noi economisti non ci spiegavamo com’è che dopo il ‘92 non aumentava l’occupazione. Noi ci aspettavamo che con la riduzione dei tassi d’interesse sarebbe ripresa l’occupazione, invece l’occupazione continuava a calare per via di questo meccanismo che all’inizio fu sottovalutato, soprattutto dalla sinistra, che invece vedeva negli investitori istituzionali una forma di capitalismo più adatto, più moderno rispetto a quella del vecchio imprenditore o del vecchio capitalismo, anche a partecipazione statale di tipo manageriale. Ma, invece io mi ricordo che quando cominciai la mia esperienza, nei lontani anni ‘70, quei manager si vantavano di aver assunto 1000 persone, 1500 persone, fosse nelle ferrovie, fosse nel settore elettrico, nell’energetico, all’Eni, all’Iri e via dicendo, mentre il manager di oggi si vanta di avere licenziato 1000, 1500 persone proprio per soddisfare quello che è il vero padrone dell’impresa che è in fondo il fondo pensione. Abbiamo avuto tanti casi in Italia di aziende che erano leader mondiali in alcuni comparti, come per esempio quello delle turbine, a livello appunto mondiale, che sono state massacrate queste aziende perché dovevano portare il 7%. Quindi il fatto che fossero competitive, che portassero un profitto, che innovassero e via dicendo non serviva al proprietario, serviva al proprietario il 7%, raggiunto in qualunque modo, anche distruggendo il futuro delle aziende. Quello che poi è puntualmente successo, il motivo per cui c’è tutta questa perdita di posti di lavoro e via dicendo non è per la competitività, perché queste imprese sarebbero competitive sui mercati internazionali, cioè guadagnerebbero di più di quello che costa tenerle in piedi e i loro prodotti sarebbero domandati dai cosiddetti mercati internazionali. Però il profitto e il saggio di profitto che garantiscono è inferiore a quello richiesto dai proprietari e quindi vengono chiuse, smantellate, massacrate e ridotti i posti di lavoro, chiusi i centri di ricerca, bloccate le strategie di espansione perché sarebbero strategie di massimizzazione del profitto e del prodotto che sono incompatibili con quelle di massimizzazione del saggio del profitto. Questo è il punto fondamentale che ovviamente ci riporterebbe direttamente a Marx se volessimo approfondire l’argomento.
Arriviamo all’inizio, diciamo ufficiale, di questa crisi, cioè al 2001. Nel 2001, inaspettatamente, gli operatori e gli osservatori di Borsa notano che i profitti declinano, anche in quelle aziende altamente tecnologizzate e che avevano, fino a quel momento, per 9 anni, garantito il boom della borsa stessa, che i profitti cominciano a declinare. A quel punto cominciano a svendere, comincia la speculazione al ribasso, comincia quella che volgarmente chiamiamo la crisi.
Anni ’90: le banche d’affari riprendono a “cibarsi” dell’economia reale
Nel frattempo, però, altro grande errore strategico, era stata varata la banca universale. Cioè si era passati dalla regolamentazione che aveva funzionato fin dagli anni ‘30 di netta separazione tra i soggetti che fanno interventi sui mercati speculativi, finanziari, dei capitali e quelli che devono assicurare il credito all’economia. Questa cosa negli anni ’90 viene superata e le banche vengono riunificate. In quegli anni, quindi, le banche che cosa hanno fatto? Hanno convinto i loro clienti a comprare titoli di vario genere garantendo un certo rendimento, superiore ovviamente a quello dei depositi e dei conti correnti. Nel momento in cui inizia la crisi e la speculazione al ribasso quegli impegni non possono essere mantenuti; a meno che si facciano operazioni di derivazione, in cui le banche sono maestre, ma che nella storia avevano sempre riguardato brevi periodi, diciamo un trimestre, un semestre di catena di sant’antonio per garantire il rendimento ai vecchi clienti, attraverso l’acquisizione di nuovi clienti e altre operazioni più o meno spavalde di finanza creativa.
La ripresa economia non è mai arrivata, ma questa bugia è servita a qualcuno…
In realtà, di trimestre in trimestre e di semestre in semestre, gli studiosi, i centri di ricerca, gli economisti, gli osservatori, le agenzie di rating, cioè tutta gente sui libri paga delle banche stesse, prevedevano che di lì a poco ci sarebbe stata la ripresa. Nessuno ha mai spiegato perché di lì al trimestre successivo, di lì al semestre successivo, di lì all’anno successivo ci sarebbe dovuta essere questa ripresa. E le banche quindi hanno continuato a fare operazioni di derivazione, anno per anno, mese per mese. E sono 12 anni di questa storia. Abbiamo praticamente 700 mila quasi 800 mila miliardi di dollari di derivati e 3 milioni e due, 3 milioni e 3 di miliardi di dollari di titoli tossici. La somma di queste due voci porta a 70 – 72 volte il PIL mondiale, per renderci conto di che cosa stiamo facendo.
Nel 2008 c’è la crisi di liquidità di cui hai parlato e che era stata preveduta dal mio libro del 2007 Il grande mutuo, le ragioni profonde della prossima crisi finanziaria. Praticamente che cosa succede? Succede che la massa diciamo di liquidità che le banche come operatori speculativi perdono sui mercati finanziari supera, per la prima volta, la massa di liquidità che le imprese, le famiglie e l’economia criminale -che fa parte del gioco-immettono nelle banche come depositi e come conti correnti. A questo punto siccome ciascuna banca sa che la vicina fa lo stesso e che non ha liquidi, salta il sistema interbancario. E lì poteva essere la fine dell’incubo, una fine probabilmente grave, ma forse, per l’economia reale, meno grave di quello che possiamo immaginare. Per esempio, quando c’è stata la crisi della Parmalat, è stato un disastro per i risparmiatori come sappiamo. Però, siccome il pubblico ha continuato a comprare il latte, i formaggi, yogurt eccetera della Parmalat, i lavoratori quasi non se ne sono neanche accorti e neanche consumatori. La Parmalat ha continuato a produrre e a vendere i suoi prodotti che sono apprezzati dal cosiddetto mercato. Quindi, la crisi finanziaria potrebbe essere un qualcosa di molto meno tragico per l’economia reale che non continuare in questo modo, in cui il drenaggio delle risorse dell’economia e la ottusità delle banche, che credono di guadagnare di più sui mercati finanziari e non danno credito all’economia, provoca appunto il cosiddetto credit crunch che è sostanzialmente un modo certo per strangolare l’economia reale.
Ora, da quel momento si è scoperto, poi, nell’estate del 2011, perché fino a quel momento non ne avevamo consapevolezza – attraverso il Government Accountability Office, che sono i controllori della FED – che la FED aveva praticamente autorizzato mezzi monetari a favore delle banche, soprattutto europee, per 16 mila miliardi di dollari, dal 2009 al 2011, quindi in tre anni 16 mila. 16 mila milardi di dollari è di più del PIL americano; e più di tutto il debito pubblico degli Stati Uniti d’America. Nel settembre di quell’anno arriva il numero due della FED e chiede di partecipare al Vertice europeo che si svolge in Polonia e viene cacciato fuori. Trichet e i vertici della Commissione sostengono che mai e poi mai l’Europa potrà accettare quella che è la linea di quantitative easing della FED e della Banca Centrale del Giappone.
Il 15 settembre del 2011, quindi, la FED annuncia la nuova teoria: sosterremo illimitatamente le esigenze di liquidità delle banche ed esortiamo la BCE a fare altrettanto. In ottobre ci sono gli Indignados e il 15 ottobre Mario Draghi dice che forse hanno ragione gli Indignados; intanto sta diventando lui il Governatore della Banca Centrale Europea. Nel lasciargli le consegne Trichet si lascia andare alla televisione a una dichiarazione che, per chi ha frequentato quegli “ambientini”, come il sottoscritto, sa che è una dichiarazione di catastrofe. Cioè dice: qualcosina dovrà cambiare. Di lì a pochi giorni, al vertice successivo del 23 ottobre dell’Unione Europea viene accettata la teoria americana: anche la BCE assicurerà mezzi monetari illimitati alle esigenze di liquidità delle banche. Senza chiedere nulla in cambio, eh! Sottolineo questo. Cioè, non è che questi offrono 10 volte quello che serviva all’Europa per agganciare la ripresa chiedendogli almeno di smetterla, quindi ripristinando la Glass Steagall, la netta separazione tra i soggetti che fanno attività speculative sui mercati finanziari e quelli che devono assicurare il credito all’economia. In cambio di nulla.
Solo meravigliandosi, a un certo punto, e arriviamo al 2013, meravigliandosi, parole del neo Governatore, dell’attuale Governatore, ormai sono due anni, Mario Draghi, che dice: con tutta la liquidità che stiamo assicurando non ne arriva niente all’economia reale. Ma, dico io, con un setaccio puoi portare dentro a un pozzo l’acqua che prendi da un ruscello? È un po’ difficile, perché nel tragitto te la perdi! E’ questo che poi succede, ovviamente, ripeto per quel fenomeno così (spiegato sopra ndr).
Ora noi, viene elaborata nel 2013 la teoria del bailing-in che è il contrario del bail-out. Il bail-out sarebbe quando gli stati o i debitori annunciano che non sono in grado di pagare, che è un problema. Il bail-in praticamente è un piano per mettere le mani nei depositi bancari che viene sperimentato a Cipro con esiti contraddittori perché, o nel caso che, le stesse Banche Centrali non riescono a compensare i bisogni di liquidità delle Banche Universali.
Allora, io mi sono fatto un piccolo calcolo, che è il seguente, che poi riporto nel libro. Allora, abbiamo parlato di 4 quadrilioni di titoli tossici, sommando tutto. Calcolando che, in pratica, calcolando che servano per gestire le esigenze di liquidità, al lordo, a occhio e croce, il 10 per cento di queste somme, stiamo parlando di 300 mila miliardi di dollari. Stiamo parlando di 300 mila miliardi di dollari. Le Banche Centrali del Giappone, della FED e la BCE in questi tre o quattro anni hanno tirato fuori circa 30 mila miliardi di dollari cioè due PIL americani. Adesso ne dovrebbero tirare fuori 20. Nella ipotesi che quindi qualcosa possa non funzionare, benché ci sia la moneta elettronica e quant’altro, c’è il piano B che è appunto il bail-in, cioè che metteranno le mani nei depositi, dicono, oltre 100 mila Euro, ma insomma voi capite che cosa significherebbe.
Significherebbe il panico, che è l’unico modo certo per mandare per aria una banca.
Perché la banca, quando tira fuori i soldi, fa finta di tirare fuori soldi, in realtà sei tu che tiri fuori i soldi via via,mese per mese, semestre per semestre, anno per anno, col mutuo, col prestito, paghi le rate. Con la tua produttività crei la moneta; sei tu che crei la moneta. Loro semplicemente si fanno creditrici di questa tua capacità. Quindi la banca, in realtà, se non avesse un bilancio falsato, avrebbe un margine operativo superiore all’80 per cento. Non paga le tasse, ovviamente, perché mette la creazione di moneta a debito. Quindi, in sostanza, allora, la banca può guadagnare quello che vuole prestando denaro. Ovviamente se lo presta alla persona sbagliata, che poi non fa le operazioni previste, perché fallisce, non avrà una sofferenza, ma avrà semplicemente un mancato arricchimento, che un altro film.
Domanda dal pubblico: Perché non paga le tasse una banca?
Perché nasconde, in realtà, il margine operativo vero che non è la differenza fra i tassi attivi e i tassi passivi, su cui paga le tasse, ma è la differenza fra la moneta creata e zero. Al lordo, ovviamente, perché comunque una banca ha spese di funzionamento, deve pagare gli impiegati eccetera. Quello va sottratto nei costi, quello fa parte dei costi. Però la parte diciamo così, tra virgolette, dei guadagni è tutto quello che gli imprenditori danno alla banca, attraverso gli scoperti, i fidi, i prestiti, e i mutui e altre operazioni di leasing e via dicendo, factoring e tutto quanto. Dunque dicevo… quindi sostanzialmente il sistema sta andando… ah ecco stavo dicendo, l’unico modo per far andare per aria una Banca è quello di generare il panico per cui i risparmiatori, i depositanti, i correntisti prendono via i loro soldi. Perché non è che quei soldi lì, veri, che noi mettiamo dentro alle banche servono per fare i prestiti, che non è quello il modello in nessun modo, ma servono per gestire la liquidità. Cioè, i depositi sono le somme che servono quando vai al bancomat o hai bisogno di mille Euro cash, eccetera, li vai a riprendere… Se tu pensi che non ti danno i mille Euro li vai a togliere. E’ quello che fa saltare la banca. L’unico modo certo per far saltare le banche è
quello di generare il panico. Quindi mi domando, no?, ma si rendono conto, con queste strategie cosa vanno a rischiare? E lì rientrano in gioco ovviamente le teorie complottistiche.
Beh, per finire questa prima parte, dirò solo che, ovviamente, dal lato buono, che c’era anche nel programma – almeno nelle parole iniziali – di questo governo, c’è il ripristino della golden rule. Perché, allora –ragioniamo a proposito dell’Euro – in pratica, all’inizio l’Euro era una non moneta, era un insieme di regole poi, paradossalmente, si è scoperta una super moneta per aiutare le banche, ma all’economia reale non ne è venuto niente. In un secondo tempo, quindi più o meno a partire dal 2011, la Banca Centrale Europea è intervenuta sul mercato dei titoli e dei debiti sovrani quindi, fondamentalmente, si è fatto retromarcia rispetto a quel famoso, fatidico per l’Italia, 1981.
Manca il terzo passaggio per essere una moneta e cioè quello di finanziare in disavanzo gli investimenti pubblici che sono l’unico modo per riavviare la ripresa, per acchiappare la ripresa. Ora, questo si chiama grosso modo golden rule ed è un qualche cosa che, secondo me, Draghi sarebbe disposto a fare, perché ha anche detto recentemente – altre paroline magiche dei banchieri –che, probabilmente, in determinate circostanze eccezionali, le regole si possono non rispettare, quindi vuol dire che si può anche stampare moneta o autorizzare mezzi monetari per fare gli investimenti e per finire questa commedia.
Il problema diventa però con quale regime, in quale contesto. Perché che da questo sistema noi fuoriusciremo, è sicuro. Il problema è se ci usciremo da schiavi o da uomini liberi. Ne usciremo da schiavi se sarà merito di quelli che stanno adesso, diciamo, alle leve del potere internazionale. Ne usciremo da liberi se lo imporremo noi dal basso controllando i meccanismi.Questo è, credo, quello che c’è sul piatto, non se si continuerà con l’Euro – con quell’Euro là – non si continuerà con quell’Euro là perché, fra l’altro, se non introducessero la golden rule, prevedo che l’Euro salterebbe.
Peraltro Germania e Francia e, in parte, come dirò, Italia sono intervenute sui mercati primari dei debiti pubblici anche con le Banche Pubbliche come previsto da un articolo del trattato di Lisbona. In Italia un pochino l’ha fatto la Cassa Depositi e Prestiti che ha utilizzato il risparmio postale. Questo ha abbassato nei mesi scorsi lo spread e i tassi d’interesse per lo meno sui titoli a breve termine. Poi ci sono altri maneggi. Non dico, per carità di patria, alcune cose nostre e racconterò solamente, giusto per capire di cosa stiamo parlando, della Francia, la quale ha presentato recentemente alla BCE 455 miliardi di Euro di carta straccia, dicendo che erano collaterale, cioè titoli di un qualche genere – se li è fatti garantire da una sconosciutissima agenzia di rating della Martinica – e si è fatta autorizzare 455 miliardi di Euro meno lo 0,5%. Insomma, praticamente si sta sfaldando questo sistema dell’Euro e genererà qualcosa di diverso. Nel frattempo, e concludo la prima parte: 22 settembre, elezioni in Germania: qual è lo scenario peggiore? Lo scenario peggiore è che siccome la Germania ha prodotto troppo, quindi ha esportato tanto – e da quel punto di vista continua a essere la prima della classe – però c’è un invenduto, perché c’è mezza Istria che è piastrellata di automobili tedesche nuove, quindi in effetti la Germania avrebbe bisogno di una svalutazione. Quindi il rischio maggiore è che non potendo fare la svalutazione con l’Euro, richieda una riduzione dei salari interni e questo ci scateni contro, come PIIGS, la classe operaia tedesca e che il risultato elettorale porti a una uscita della Germania dall’Euro. Questo significherebbe per la Germania cominciare delle svalutazioni competitive perché, se la Germania esce dall’Euro, l’Euro si svaluta, ma la Germania dovrà svalutare la propria valuta perché c’ha tutto questo invenduto che deve piazzare. Quindi in sostanza ci attende qualcosa di veramente vicino a ciò che può essere una guerra, rispetto invece a quello che possono essere degli accordi alternativi.
Qual è la via d’uscita da questo intrigo? È che noi riusciamo a trovare dei momenti di dialogo fra movimenti alternativi Italiani e Francesi con quello che c’è in Germania, perché in Germania sono presenti anche forze consapevoli con le quali bisogna tempestivamente dialogare e contrastare il piano di attacco ai paesi latini e segnatamente all’Italia.
E veniamo ai nostri problemi. Dunque, l’origine del male è questa competitività esasperata che è andata sotto l’etichetta di Globalizzazione. In realtà che cos’è la globalizzazione è un sistema in cui per esportare di più – sempre sulla base di quel presupposto della responsabilità di ciascun paese della propria bilancia dei pagamenti – comunque per esportare di più, sacrifichi l’economia interna, ma ovviamente non è possibile che tutti i paesi esportino di più, quindi il sistema è per definizione insostenibile. Tuttavia abbiamo creato il mostro di premiare sistematicamente – cioè a livello di sistema – il produttore peggiore: quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che inquina di più, quello che non rispetta le norme a tutela della salute, e quant’altro.
Domanda di VALERIO COLOMBO: questo qui è un meccanismo che è generalizzato a livello di globalizzazione, ma in particolare è esasperato anche come meccanismo connaturato nell’area Euro?
Certo, sì. Beh, non è che i paesi emergenti finora non abbiano fatto diversamente, però il dato positivo è che i paesi emergenti, cioè i cosiddetti BRICS, anche a partire dalle risultanze dell’ottobre scorso del congresso del Partito Comunista Cinese, hanno, come dire, cominciato a pensare di cambiare gioco, quindi di sviluppare prima la domanda interna e di restituire alle esportazioni un ruolo diciamo così residuale. Questo potrebbe cambiare il mondo che è tuttora dominato dal Dollaro, però è un Dollaro come sappiamo bene o male in crisi. Quindi il fatto che questi paesi abbiano proposto una loro banca mondiale, un loro fondo monetario e un loro sistema di valuta alternativo, secondo me apre a delle prospettive.
E qui veniamo alla cosa secondo me più importante di cui dobbiamo parlare, però era giusto fare tutte queste premesse: il nuovo modello economico.
Il nuovo modello economico è un modello che deve nascere dal basso e quindi in qualche modo si può legare con la democrazia diretta. Deve nascere dal basso nel senso che tutti dobbiamo produrre quello che sappiamo produrre, anche facendo uso, in questo momento che esiste l’Euro, di monete complementari, per sganciarci dalla globalizzazione. Dopodiché, quando avremo saturato la domanda interna, poniamo di un determinato territorio, che può essere nazionale, regionale, locale – adesso questo poi è da vedere – possiamo esportare l’eccedenza, ma, questo punto, l’eccedenza la puoi esportare a un prezzo arbitrario, quindi sei competitivo per definizione.
Cioè ti adegui al prezzo internazionale, ma senza sacrificare i salari, le retribuzioni, le condizioni di vita, il welfare. Anzi, più sviluppi queste cose e meglio è, compatibilmente coi bilanci interni di ciascuna azienda. Poi esporti le eccedenze e con la valuta internazionale che ricavi compri le importazioni necessarie che sono quelle corrispondenti a beni e servizi che non sei in grado di produrre al tuo interno. Quindi non è un’economia chiusa, non c’entra niente con l’autarchia, ma è anche diversa dal vecchio modello keynesiano che era stato superato nel 1979 da quel G7. Ovviamente è completamente alternativo all’attuale modello.
Il modello cerca di soddisfare la domanda interna e assegna alle esportazioni il ruolo di preferire i mezzi finanziari per le importazioni necessarie. Quindi inverte quella che era la logica della globalizzazione. In questo ambito l’augurio che vi faccio è che si passi dai BRICS ai BRIICS, nel senso che l’Italia, che non è PIGS, diventi invece uno dei BRIICS. Seconda cosa, abbiamo detto ed è il messaggio più importante che sto cercando di dare, che è finita l’era della scarsità, probabilmente anche diciamo dell’economia al maschile. Le risorse non sono scarse nè dal punto di vista fisico, perché abbiamo tecnologie per risparmiarne l’utilizzo per quantità di prodotto, come ho spiegato prima. Quindi adesso vedete che sta aumentando il prezzo del palladio, delle terre rare e del platino. Potrebbe arrivare nelle tecnologie che applichiamo un punto in cui vi diranno: “ah!… è finito il platino, è finito il palladio, sono finite le terre rare, vanno alle stelle”. No, perché avremo la capacità tecnologica di sostituire queste risorse ovvero di minimizzarne la quantità per unità di prodotto con tecnologie ulteriori e quindi di non avere il problema. Lo stesso vale, se si è capito quello che ho detto prima, per le cosiddette risorse monetarie o mezzi monetari, che poi non sono neanche delle vere e proprie risorse. Dovrebbero essere come l’aria che respiriamo. Di quanta aria abbiamo bisogno? Di quanta ce ne serve. Se stiamo correndo respiriamo più forte e consumiamo più ossigeno, se stiamo in una situazione di riposo di meno, ma è questo la moneta. Ovviamente una cosa del genere provoca un cambiamento politico o potrebbe provocare un cambiamento politico epocale. Diventiamo tutti classe media, abbiamo tutti i servizi, ci sarà il lavoro. Perché fra l’altro, ecco, il lavoro, e anche questa è un’altra bufala, il lavoro c’è e forse ce n’è pure troppo. Come ce n’è magari troppa anche di produzione. Non è che manca quello. Perché se noi remunerassimo tutto il lavoro di cura, tutto il volontariato, tutte le attività che noi compiamo nel territorio, anche tenere pulito il nostro giardino, per esempio, introducendo un welfare intelligente, che fra l’altro rappresenti un limite verso il basso dei salari, che oggi sono troppo bassi e questo sta causando grandi problemi all’economia. Ma nessuno lo denuncia che il problema siano i salari troppo bassi, dicono che bisogna abbassarli per essere competitivi, quindi dobbiamo ovviamente intervenire sui paradigmi e la cultura economica. Abbandonare la scarsità significa ripristinare quindi anche condizioni di una maggiore, come dire, cultura femminile nell’economia stessa. Cose su cui ovviamente dobbiamo studiare. Terza e ultima cosa che voglio aggiungere qui è una nuova, ma non nuovissima, contabilità di stato in cui noi abbiamo il pareggio fra il gettito fiscale e la spesa corrente al netto degli interessi, esclusa la previdenza, che è un’altro regime, e inclusa ovviamente l’assistenza. Poi abbiamo in disavanzo, compresi gli interessi, gli investimenti pubblici necessari: tutto ciò che non è gestione, ma è investimento che dev’essere pareggiato, pari, al potenziale di crescita di una determinata economia. Quindi abbiamo tanto disavanzo quanto ce ne serve e siccome questo disavanzo lo possiamo coprire anche con moneta, senza interessi, ecco che questa è una strada. Però ho delineato in poche battute una Contabilità di Stato diversa che tendenzialmente sarebbe meglio se fosse pluriennale.
Perché ad esempio ho visto negli Stati Uniti il piano sanitario si fa su un bilancio di 9 anni o di 10 anni. Perché se noi pretendiamo di mandare a pareggio determinate poste e partite un anno per l’altro ovviamente ci impicchiamo in logiche contabilistiche che ci portano solo fuori strada, fra l’altro a peggiorare la stessa finanza cosiddetta pubblica. Quindi occorre intervenire anche su questo fronte. E ho finito.
VALERIO COLOMBO: Da questo punto di vista dicevi che si potrebbe pagare anche con moneta quindi ci sarebbe bisogno comunque di un ripristino in qualche modo della sovranità monetaria forse bisogna specificarlo, perché mi sembra fondamentale.
NINO GALLONI: Assolutamente, è il passo fondamentale. Ho detto: l’Euro se ripristina la sovranità monetaria quindi fa gli investimenti in disavanzo in funzione delle esigenze che ciascun membro o paese ha, ovviamente resiste!
Domanda dal pubblico: Potrebbe per piacere chiarire la differenza che c’è tra fra finanziare con la moneta lo scoperto anziché con il debito pubblico?
Mi spiego meglio, in coda ha accennato quasi per incidens a una questione che è di un’importanza esagerata invece perché cozza con i tabù liberisti che sono diffusi, cioè l’idea che praticamente il debito pubblico sia necessario sia l’unica soluzione e che non possa lo stato finanziare la spesa pubblica aggiuntiva con moneta allo scoperto. Allora mi sembra una questione che merita qualche parolina di più…
NINO GALLONI: La moneta che può creare lo stato non è mai allo scoperto, deve essere a fronte di precisi investimenti, i quali a loro volta siano seri, siano utili, siano necessari. Ovviamente se si finanzia col debito pubblico è per avere un tasso di interesse, perché nel sistema quando lo stato introduce moneta e la accetta in pagamento delle tasse ci può essere una parte di essa che viene risparmiata. Per questo motivo è bene che esista il debito pubblico, affinché questa parte di moneta venga re-immessa nel sistema finanziario con l’acquisto di titoli. Non è, nel modello, il principale modo di finanziamento del disavanzo, però è molto importante che ci sia un certo debito pubblico da questo punto di vista. La differenza la fa il tasso di interesse. E’ ovvio che se il debito pubblico va al 5, al 10% il peso degli interessi sul sistema diventa insostenibile. Se invece è molto basso, come attualmente sarebbe possibile, la differenza tra le due cose è data dalla domanda di risparmio da parte diciamo dei risparmiatori, del pubblico, delle famiglie, delle imprese.
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