Riceviamo e pubblichiamo con interesse e preoccupazione la lettera di un nostro lettore.
Aldilà delle teorie economiche esposte su questo blog, vogliamo dare spazio sempre crescente alle persone e alle realtà lavorative, economiche ed imprenditoriali che sono costantemente in crisi. Chissà che non nasca un dialogo costruttivo nell’intento di realizzare una rete ed un modello futuro sul territorio. Siamo qua per questo.
Testo della lettera
Buongiorno, vorrei parlare di un fenomeno tragico che sta passando “sottobanco”. É di queste ultime ore la notizia che il governo si appresta a varare delle procedure per rendere più pesanti le buste paga del 2014. Mi sembrano proclami inutili ed irrealistici, visto che attualmente i fondi a copertura delle azioni di governo sono reperiti da ulteriori tassazioni. Nel frattempo, io mi guardo intorno e vedo cose ben diverse.
Cosa sta avvenendo, in realtà, da diversi mesi a questa parte in Italia nel “mondo” della piccola e media impresa?
Sempre più spesso sento dire ad operai, impiegati e tecnici delle imprese italiane di produzione di beni e servizi per l’industria che sono indietro con la retribuzione degli stipendi da diversi mesi . Lo stesso vale per il mio caso personale. Lavoro per un’impresa di trasporti e sollevamenti della provincia di Milano ed attualmente percepisco in ritardo lo stipendio da diversi mesi. Inoltre, noto che da tempo i lavoratori vengono messi di fronte a quella che è diventata una vera e propria prassi. Vengono messi di fronte alla decisione unilaterale di abbassare il salario attraverso varie forme di rinunce temporanee (e/o permanenti) di parti accessorie della busta paga. Si va dagli straordinari pagati meno rispetto alla quota oraria stabilita, fino alla perdita di rimborsi spese tipo i pasti o le trasferte oppure all’abbassamento della voce del superminimo assorbibile.
Gli imprenditori dicono tutti la stessa cosa: “dato che i nostri clienti non pagano le fatture emesse non abbiamo più liquidità per i salari e le banche non fanno più credito alle imprese per la gestione del personale”.
Allora io mi chiedo: se le imprese non pagano le fatture a chi gli fornisce un servizio od una fornitura a loro volta saranno in difficoltà nel pagare i salari? Mi sembra che si è innescato un sistema che porta a far sì che di fronte allo stallo dei crediti da parte delle banche, porti le imprese (invece di fare fronte comune per ottenere a livello nazionale un trattamento migliore a livello creditizio) a prendere una scorciatoia e scaricano sui lavoratori il divario tra profitto e spesa.
Se le cose stanno così, siamo di fronte ad un evidente volontà di arrivare ad un abbassamento coatto del costo del lavoro.
Del resto, quanto tempo è che Confindustria afferma che il costo del lavoro in Italia è troppo alto rispetto agli altri paesi Europei (e non)? Non è attraverso la cosiddetta detassazione dei costi del lavoro ( vedi irap ecc.), reclamati continuamente dal presidente di Confindustria Squinzi come un Mantra senza alcuna enfasi (sembra ripetere le stesse cose come un automa ad ogni intervento in tv!), bensì facendo direttamente leva nelle tasche dei lavoratori che si sta cercando di abbassare il cosiddetto cuneo fiscale. Oggi sembra che la partita si sia spostata tutta nel campo delle retribuzioni; l’effetto anche se per ora non sembra ancora così generalizzato, promette comunque di esserlo a breve!
Quello che fa più preoccupare è il fatto che tra i lavoratori delle diverse realtà produttive Italiane non ci sia la convinzione che bisogna parlarne e denunciare il fatto; perché se si va a chiedere direttamente agli interessati, difficilmente questi ti diranno che sono in ritardo dal ricevere lo stipendio. Oppure ti diranno che sono stati obbligati a vedere ribassati gli stipendi a fronte di ventilate riduzioni di personale; oppure di chiusure di attività. Argomento che trova terreno fertile, in quanto a volte poi accade anche questo come estrema conseguenza.
É bene fare una considerazione: oggi le parti che si interpongono tra lavoratori e imprese sono i sindacati, i quali sempre meno vanno al nocciolo della questione. Se si vuole veramente rilanciare il lavoro in Italia ed in Europa perché non fanno accenno alcuno alla necessaria rivoluzione e cambio di paradigma sul fondamento stesso del concetto di lavoro? Attualmente tutto si basa sul concetto di somministrazione di lavoro da parte di imprenditori nei confronti di lavoratori e questa relazione è regolamentata attraverso una negoziazione messa in atto da terza parte ovvero il sindacato. Sarà forse per questo che nulla cambia? Sarà perché il ruolo dei sindacati stessi esiste per la storica contrapposizione tra lavoratori e impresa/imprenditori?
Dovrebbe, invece, essere presa la decisione di lanciare un modo nuovo di fare impresa in regime di compartecipazione dei lavoratori e di cambio del concetto di proprietà d’impresa. Io credo che più che distribuzione della ricchezza, si deve ragionare in termini di ridistribuzione della proprietà. Una piccola fettina (oltre una proporzionale redistribuzione dei profitti) deve finire annualmente nella “tasca” del lavoratore per trasformarlo in un piccolo imprenditore che collabora con il proprietario. Così potremmo affrontare su basi di cooperazione quello che fino ad oggi è stato uno scontro, ipocritamente mediato dai sindacati.
Bisogna uscire da questa visione preistorica del lavoro altrimenti possiamo affermare con relativa precisione che il fenomeno per ora ancora sottobanco della distruzione dei diritti dei lavoratori e dell’economia reale presto sarà una realtà con la quale faremo i conti ma sarà troppo tardi per porvi rimedio. Cioè cari imprenditori (scusate la franchezza) presto sarete anche voi vittime del questo sistema; perché se nessuno lavora degnamente, nessuno compra i vostri “favolosi” prodotti.
Russo Luciano