Cosa prevede il Fiscal Compact?
Fra le molte cose contenute nel trattato, le più importanti sono quattro:
– l’inserimento del pareggio di bilancio (cioè un sostanziale equilibrio tra entrate e uscite) di ciascuno Stato in «disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale» (in Italia è stato inserito nella Costituzione con una modifica all’articolo 81 approvata nell’aprile del 2012);
– il vincolo dello 0,5 di deficit “strutturale” – quindi non legato a emergenze – rispetto al PIL;
– l’obbligo di mantenere al massimo al 3 per cento il rapporto tra deficit e PIL, già previsto da Maastricht;
– per i paesi con un rapporto tra debito e PIL superiore al 60 per cento previsto da Maastricht, l’obbligo di ridurre il rapporto di almeno 1/20esimo all’anno, per raggiungere quel rapporto considerato “sano” del 60 per cento. In Italia il debito pubblico ha superato i 2000 miliardi di euro, intorno al 134 per cento del PIL. Per i paesi che sono appena rientrati sotto la soglia del 3 per cento nel rapporto tra deficit e PIL, come l’Italia, i controlli su questo vincolo [sono iniziati] nel 2016.[1]
Il Pareggio di Bilancio, ovverosia il fatto che lo Stato non possa spendere più di quanto incassa con le tasse, in particolare, viene posto come “Regola d’oro”, imponendone l’adozione nelle legislazioni nazionali (nel nostro caso addirittura in Costituzione).
In genere, per giustificare questa regola, il governo di uno stato viene paragonato al “buon padre di famiglia”, che non può indebitarsi oltre un certo limite spendendo più di quello che guadagna.
Il problema è che, come dice l’economista keynesiano John Kennet Galbraith,[2] “il confronto tra famiglia e Stato non sta in piedi. Che una faccenda enorme, molteplice, complessa e incomprensibile come il governo (…) di qualunque nazione (…) debba essere soggetta alle stesse regole e alle stesse restrizioni che valgono per la famiglia di un salariato è per lo meno da dimostrare.”
La differenza più rilevante è che, almeno in teoria, lo Stato dovrebbe governare lo strumento monetario, mentre la famiglia lo utilizza.
I Paesi dell’Eurozona, in effetti, hanno abdicato a questo tipo di sovranità, operando una serie di scelte politiche in certi casi ancor prima dell’entrata nell’UE e nell’Euro. Per esempio, ormai è abbastanza noto il fattaccio italiano del “Divorzio” tra banca d’Italia e Ministero del tesoro[3] avvenuto nell’81, ad opera dell’allora ministro Andreatta e del governatore Ciampi.
Da quel momento in poi la banca d’Italia non è più potuta intervenire per calmierare le emissioni di titoli del tesoro, lasciandole in balia degli speculatori.
È stato questo processo, con gli interessi speculativi sul debito che ne sono conseguiti, a produrre l’esplosione del debito pubblico Italiano, non certo l’eccesso di spesa corrente[4].
Senza entrare in tecnicismi come la dialettica in corso tra i sostenitori del moltiplicatore fiscale e quelli invece delle restrizioni espansive… risulta evidente che non ci troviamo di fronte ad altro se non a imposizioni di tipo fideistico.
Dopo quello che è successo negli ultimi anni, come si può pensare che stringendo ancora la cinghia le cose potranno andar meglio?
Veramente qualcuno pensa che riducendo di decine di miliardi all’anno la spesa pubblica (che alla fine vorrà dire tagli a sanità, istruzione, welfare…) il motore economico dei paesi soggetti al Fiscal Compact comincerà a ruggire diffondendo benessere e felicità?
Perfino il PD di Renzi si rende conto del fatto che si tratta di regole di fatto inapplicabili se non producendo una depressione prolungata per vent’anni senza via d’uscita, anche se come soluzione propone semplicemente di allentare un po’ i cordoni della borsa tornando momentaneamente ai parametri di Maastricht che permettono un deficit/PIL fino al 3%(!).
Ma allora come è possibile che qualcosa di tanto assurdo e morboso sia ancora difeso dai sostenitori della “dottrina economica” come necessario per evitare catastrofi peggiori?
Proprio il termine “dottrina economica” viene in nostro aiuto: infatti ciò che ha portato a manovre di austerità economica come il Fiscal Compact ha più che altro a vedere con un vero e proprio fideismo dottrinario.
Facciamo un passo indietro citando il filosofo tedesco Walter Benjamin che, in un frammento del 1921: “Capitalismo come religione”[5] afferma che “Nel capitalismo va individuata una religione; il capitalismo, cioè, serve essenzialmente all’appagamento delle stesse preoccupazioni, tormenti, inquietudini a cui in passato davano risposta le cosiddette religioni […] Il capitalismo è il primo caso di un culto che non consente espiazione, bensì produce colpa e debito (verschuldend).”
Anche Silo, il filosofo argentino fondatore del Movimento Umanista a cui appartiene il Partito Umanista, nel suo “Lettere ai Miei Amici – Sulla crisi personale e sociale di questo momento storico”[6] scritto all’inizio degli anni ’90 parafrasa in questo modo i dogmi dell’attuale religione del denaro, in una critica che non ammette compromessi ponendola proprio all’inizio del “Documento del Movimento Umanista”:
≪Ecco la grande verità universale: il denaro è tutto. Il denaro è governo, è legge, è potere. È, nel fondo, sopravvivenza. Ma è anche l’Arte, la Filosofia, la Religione. Niente si fa senza denaro; niente si può senza denaro. Non ci sono rapporti personali senza denaro. Non c’è intimità senza denaro, e perfino una serena solitudine dipende dal denaro.
Ma il rapporto con questa “verità universale” è contraddittorio. La grande maggioranza della gente non vuole questo stato di cose. Ci troviamo allora di fronte alla tirannia del denaro. Una tirannia che non è astratta perché ha un nome, rappresentanti, esecutori e modi di procedere ben definiti.
Oggi non abbiamo a che fare né con economie feudali né con industrie nazionali e neppure con gli interessi di gruppi regionali. Oggi, queste strutture sopravvissute al passo della Storia devono piegarsi ai dettami del capitale finanziario internazionale per assicurarsi la propria quota di profitto. Un capitale speculativo il cui processo di concentrazione su scala mondiale si fa sempre più spinto. In una situazione come questa persino lo Stato nazionale, per sopravvivere, ha bisogno di crediti e prestiti. Tutti mendicano gli investimenti e, per averli, forniscono alla banca la garanzia che sarà essa ad avere l’ultima parola sulle decisioni fondamentali. (…) Sta arrivando il momento dello Stato Parallelo, un tempo, questo, in cui il vecchio ordine dovrà essere azzerato.
(…) Il grande capitale non solo domina l’oggettività grazie al controllo dei mezzi di produzione ma domina anche la soggettività grazie al controllo dei mezzi di comunicazione e di informazione. In queste condizioni esso può disporre a piacere delle risorse materiali e sociali, riducendo la natura ad uno stato di deterioramento irreversibile e tenendo sempre meno conto dell’essere umano.(…)
Gli umanisti non hanno bisogno di grandi discorsi per mettere in evidenza il fatto che oggi esistono le possibilità tecnologiche per risolvere, a breve termine e per vaste zone del mondo, i problemi della piena occupazione, dell’alimentazione, della salute, della casa, dell’istruzione. Se queste possibilità non si tramutano in realtà è semplicemente perché la speculazione mostruosa del grande capitale lo impedisce.
(…) A contrastare questa situazione di irrazionalità non si levano – come imporrebbe una visione dialettica – le voci della ragione; sorgono, invece, i più oscuri razzismi, integralismi e fanatismi. E se il neo-irrazionalismo prenderà il sopravvento in intere regioni e collettività, il margine d’azione delle forze progressiste finirà per ridursi sempre di più. […] Gli umanisti sentono la necessità di agire non solo nel campo del lavoro ma anche in quello politico per impedire che lo Stato sia uno strumento del capitale finanziario mondiale, per stabilire un equo rapporto tra i fattori della produzione e per restituire alla società l’autonomia che le è stata sottratta≫[7]
La citazione è lunga ma necessaria, perché inquadra perfettamente la situazione attuale e contestualizza in modo preciso quello che sta accadendo con processi come quello che ha portato all’approvazione del Fiscal Compact.
Alla fine, risulta chiaro che il problema non sta nel capire se i parametri siano adeguati o vadano rinegoziati: il problema è il quadro di pensiero in cui si è configurata una mostruosità come il Fiscal Compact, che condanna interi popoli a una espiazione dolorosa – molto dolorosa – e prolungata, promettendo loro non tanto una via d’uscita, ma di evitare una “catastrofe” non meglio specificata operata dal Dio Mercato se non mostreranno di voler espiare la propria colpa.
Ricordiamo che la “colpa” è quella di aver contratto un debito (che però abbiamo visto prima è stato generato in gran parte dagli stessi meccanismi proposti come cura).
A questo punto non è possibile non notare un parallelo con quanto succedeva con l’inquisizione medievale che nel nome di una “dottrina ecclesiastica” bruciava le streghe e gli eretici per salvare le loro anime dall’inferno!
Il Fiscal Compact è l’apice di una dottrina malata che sta portando tutta la nostra civiltà verso una sorta di Medio Evo, dominato dai signori della finanza, in cui i diritti e la democrazia con cui siamo stati cresciuti risultano sempre più un ricordo del passato, se non addirittura parte di quella fase “colpevole” in cui i popoli “hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi”.
Si tratta di veri e propri miti, i cui fondamenti sono completamente irrazionali.
Come ci ricorda Silo nel passaggio citato prima, ≪gli umanisti non hanno bisogno di grandi discorsi per mettere in evidenza il fatto che oggi esistono le possibilità tecnologiche per risolvere, a breve termine e per vaste zone del mondo, i problemi della piena occupazione, dell’alimentazione, della salute, della casa, dell’istruzione. Se queste possibilità non si tramutano in realtà è semplicemente perché la speculazione mostruosa del grande capitale lo impedisce≫.
L’unico motivo per cui questo non avviene è che “non ci sono i soldi” e i soldi non ci sono un po’ per colpa del debito, un po’ perché “per il mercato non sono attività profittevoli”.
Lo stesso problema ambientale, che viene posto come secondo ostacolo al raggiungimento di una qualità di vita accettabile per tutta la popolazione del pianeta, in realtà è un corollario del primo, perché i modelli di sviluppo umano più sostenibili, con una crescita basata sulla qualità e non sulla quantità, con fonti di energia pulite, eccetera eccetera, sono semplicemente scartati dal mercato a causa della loro non profittabilità.
È paradigmatica l’intervista fatta dal programma televisivo “Le Iene” alla ministra della sanità Lorenzin, in cui le si è fatto notare come gli assorbenti igienici siano tassati come se non fossero beni di prima necessità.
La ministra risponde lodando l’iniziativa. Mostra pieno accordo, ma poi dice che non è possibile evitarlo perché come sapete si tratta di un problema di vincoli economici.
Il vincolo economico è un dato di fatto, un paradigma, un dogma che non si può e non si deve mettere in discussione.
È un piccolo episodio, ma emblematico di come, per chi voglia uscire da questo incubo, ormai sia sempre più imperativo impedire che lo Stato sia uno strumento del capitale finanziario mondiale, per stabilire un equo rapporto tra i fattori della produzione e per restituire alla società l’autonomia che le è stata sottratta.
A questo proposito facciamo una panoramica di tipo aneddotico su come il Fiscal Compact rappresenti una sorta di cilicio collettivo imposto dai sacerdoti di questa religione monetaria.
Parliamo del Giappone, e facciamolo citando non fonti umaniste, e neppure della sinistra marxista, ma un articolo del Sole 24 ore: il giornale della Confindustria.
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-01-15/perche-debitopil-giappone-spende-091020.shtml?uuid=AbdBNSKH
In Giappone nel 2013 il rapporto debito/PIL era al 236% e il deficit/PIL al 10%.
Secondo i parametri di Maastricht (figuriamoci quelli del Fiscal Compact) questo avrebbe dovuto produrre un’invasione di cavallette sterminatrici sul territorio dell’Impero del Sole.
E invece il debito si avvia tranquillamente a raggiungere il 300% per il 2030 con una disoccupazione al 3% e un tasso di crescita costante[8].
Tutto questo soprattutto a causa di una politica monetaria completamente diversa da quella dell’eurozona.
Politica monetaria che ha permesso anche la ripresa economica degli Stati Uniti dopo la grande crisi del 2006.
Politica monetaria che in Europa la BCE non può fare semplicemente perché il suo statuto non le consente di fare “il prestatore di ultima istanza” per evitare “che la politica spendacciona possa spendere a vanvera producendo inflazione”…
A proposito… la politica monetaria super espansiva del Giappone non ha prodotto nessuna iperinflazione[9] e neanche quella americana, e in effetti neanche la pseudo politica espansiva della BCE di Draghi è ancora riuscita a raggiungere quel 2% di inflazione minima che indicherebbe un’economia sana secondo gli stessi parametri dottrinari.
Questi esempi servono solo a dimostrare quanto detto prima, ovverosia che l’Eurozona con il suo Fiscal Compact è semplicemente l’area del pianeta in cui la religione del denaro, i suoi sacerdoti e i suoi sacri imperatori (gli esponenti del capitale finanziario internazionale) stanno creando la punizione esemplare per i popoli che pensavano di poter avere un welfare adeguato e diritti sociali acquisiti una volta per tutte.
Il diritto alla sanità, all’educazione, a una qualità di vita decenti, che proprio in Europa e soprattutto in Europa erano stati raggiunti vengono spazzati via da un Golem completamente privo di pietà: la necessità di ridurre il debito, perché altrimenti “il Mercato ci punirà”.
È evidente che si tratta di un processo planetario: la soluzione non è diventare il Giappone o gli Stati Uniti, nei quali semplicemente tale processo, comunque in corso, è in uno stadio differente.
L’urgenza di oggi, come già detto prima è quella di rendersi conto della situazione, dei suoi attori, e delle conseguenze.
L’adozione definitiva del Fiscal Compact a fine 2017 come normativa europea, come il fatto che nel 2012 si sia modificata la Costituzione Italiana per adottarlo, sono solo dei passi che vanno verso l’irreversibilità di questo processo, nella totale inconsapevolezza generale.
La situazione è più grave di quello che potrebbe sembrare, lo ripetiamo: siamo sull’orlo di una vera e propria crisi di civiltà…
A questo proposito concludiamo questo contributo con un’altra citazione di Silo del 1994[10] che ci mostra una possibile via d’uscita (per chi volesse, nella parte precedente del testo citato, sono descritte in modo dettagliato le caratteristiche della crisi, ma l’abbiamo omessa per brevità):
≪questa parte del racconto la si ritrova nella storia di numerose civiltà che in un certo momento credettero di poter progredire all’infinito. Tutte finirono per scomparire. Per fortuna, però, quando alcune caddero, nuovi impulsi umani sorsero in altri luoghi del pianeta; ed è proprio in questo avvicendarsi delle civiltà che si sviluppa il processo di superamento del vecchio da parte del nuovo.
È chiaro però che in un sistema mondiale chiuso non c’è posto per il sorgere di un’altra civiltà ma solo per un lungo ed oscuro medioevo mondiale.
(…) è tempo di chiedersi in che modo gli esseri umani potranno cambiare la direzione degli avvenimenti. Ma, d’altra parte, chi potrà determinare un cambiamento di direzione tanto formidabile se non i popoli, che sono appunto il soggetto della storia?Ma abbiamo raggiunto un livello di maturità sufficiente per comprendere che, già da ora, non ci sarà progresso se esso non sarà di tutti e per tutti? È questa la seconda ipotesi che si esamina […].
Se nei popoli prenderà corpo l’idea che (è bene ripeterlo) non ci sarà progresso se esso non sarà di tutti e per tutti, allora sarà possibile fare una precisa scelta di campo. Nell’ultimo stadio del processo di destrutturazione, venti nuovi cominceranno a soffiare nella base sociale. Nei quartieri periferici, nelle comunità di vicini, nei luoghi di lavoro più umili, il tessuto sociale comincerà a rigenerarsi. Si tratterà di un fenomeno apparentemente spontaneo che si svilupperà parallelamente al crescere di molteplici raggruppamenti di base formati da lavoratori resisi indipendenti dalla tutela dei vertici sindacali. Appariranno numerosi nuclei politici, privi di organizzazione centrale, che lotteranno contro le organizzazioni politiche verticistiche. Ogni fabbrica, ogni ufficio, ogni impresa diventerà teatro di discussioni. Partendo dalle rivendicazioni più immediate si arriverà a prendere coscienza della situazione più generale: si comprenderà che il lavoro ha un valore umano maggiore del capitale ed al momento di decidere sulle priorità, il rischio a cui è esposto il lavoratore apparirà più importante di quello a cui è esposto il capitale. Si arriverà facilmente alla conclusione che i guadagni d’impresa dovranno essere reinvestiti nella creazione di nuove fonti di lavoro od impiegati in altri settori per aumentarne la produttività, invece di riversarsi in operazioni speculative che determinano un aumento del capitale finanziario, lo svuotamento delle imprese ed il conseguente fallimento dell’apparato produttivo.
(…) Ci sarà nuovo fermento sociale e si scatenerà così la lotta franca ed aperta tra il capitale speculativo, con il suo chiaro carattere di forza astratta ed inumana, e le forze del lavoro, autentica leva della trasformazione del mondo. A poco a poco si arriverà a comprendere che il progresso non dipende dal debito contratto con le banche e che la funzione delle banche deve essere quella di concedere crediti all’impresa senza oneri di interesse. Risulterà anche chiaro che non ci sarà altro modo di invertire il processo di concentrazione che porta al collasso se non mediante una redistribuzione della ricchezza a favore delle aree arretrate. La Democrazia reale, plebiscitaria e diretta, diventerà una necessità nel momento in cui si vorrà uscire dalla situazione di agonia determinata dalla non partecipazione alla politica e dalla minaccia costante di disordini popolari. I poteri saranno riformati perché a quel punto la struttura della democrazia formale, dipendente dal capitale finanziario, avrà perso ogni credito ed ogni significato. Senza dubbio questo secondo scenario di crisi si presenterà dopo un periodo di incubazione, durante il quale i problemi si faranno più acuti. Avrà allora inizio un processo fatto di passi avanti e passi indietro, in cui ogni successo, grazie alle comunicazioni istantanee, assumerà il valore di un effetto-dimostrazione che tenderà a riprodursi, per emulazione, fin nei luoghi più remoti. Non si tratterà affatto di un processo di conquista degli Stati nazionali ma di un moltiplicarsi, nell’intero scenario mondiale, di fenomeni sociali del tipo descritto, che prefigureranno un cambiamento radicale nella direzione degli avvenimenti. Se prenderà questa linea di sviluppo il processo storico non terminerà meccanicamente in un collasso, come tante volte è avvenuto; saranno invece i popoli, con la loro la volontà di cambiamento, con la loro volontà di prendere una nuova direzione, ad incamminarsi sulla strada che porta alla creazione della nazione umana universale.
È a questa seconda possibilità, è a questa alternativa che puntano gli umanisti di oggi: hanno troppa fede nell’essere umano per credere che tutto finirà in modo stupido. E anche se non si sentono l’avanguardia del processo di sviluppo dell’umanità, sono pronti ad impegnarsi in questo compito in misura proporzionale alle loro forze e nei luoghi in cui si trovano a vivere.≫
Questo brano scritto nel 1994 esprime in modo a nostro parere molto efficace la possibile via d’uscita dalla situazione in cui siamo nel 2017 e anche quello che è il progetto del Movimento Umanista e del Partito Umanista, ovverosia cercare in tutti i modi di contribuire a un processo che porti alla seconda ipotesi, con un cambio totale di paradigma, e forse con il sorgere di una nuova civiltà planetaria basata sulla nonviolenza e sul progresso di tutti e per tutti.
Quasi sicuramente con questo articolo non riusciremo ad ostacolare il corso del Fiscal Compact, ma speriamo di aver potuto contribuire a far luce sulle allarmanti caratteristiche della situazione attuale e sul fatto che come Umanisti vorremmo contribuire ad uscirne davvero unendo i nostri sforzi a quelli di tutti coloro che non accettano di sottomettersi all’avvento del nuovo Medioevo Finanziario.
Partito Umanista
[10] Conferenza di presentazione di “Lettere ai miei amici” CENTRO CULTURALE ESTACION MAPOCHO, SANTIAGO DEL CILE, CILE 14 MAGGIO 1994. Presente in Silo, Opere Complete, Vol. 1. Edito da Multimage.