Estratto dal libro di Philippe Braillard “L’impostura del Club di Roma” edizione del 1983
Negli anni ’90, avevo sentito parlare del Club di Roma durante alcune conferenze e avevo preso appunti qua e là. Ricordo che persone che ammiro profondamente lo menzionavano con una certa preoccupazione. Nella mia mente, la parola “Club di Roma” si era fissata come qualcosa di cui diffidare, un’entità legata a vecchi giochi di potere. Tuttavia, col tempo, i dettagli mi erano sfuggiti, e non ricordavo più esattamente di cosa si trattasse o cosa promuovesse davvero. Così, dopo averci pensato un po’, ho deciso di fare qualche ricerca. Alla fine, in una biblioteca, ho trovato un libro che finalmente ha fatto luce, soprattutto sui miti che questo “think tank” porta con sé.
Volevo approfondire, capire davvero cosa fosse questo Club di Roma e recuperare le critiche che lo riguardavano. Mi sembrava importante farmi un’idea più chiara dei suoi obiettivi e del perché fosse considerato con tanto sospetto. Così ho iniziato a cercare sul web, usando vari motori di ricerca, ma con risultati piuttosto scarsi. Poche informazioni e perlopiù molto frammentarie. Tra le poche fonti trovate, però, spuntava il titolo di un libro: L’impostura del Club di Roma. Era esattamente ciò di cui avevo bisogno, e sono riuscito a recuperarlo in biblioteca.
Cosa ha risvegliato il mio interesse rispetto all’esistenza del Club di Roma?
Il fatto che nel 2022 questo Club di Roma venisse a parlare a Milano, accolto dall’amministrazione e dai Verdi.
Il libro in questione è rispettoso e gentile nella modalità in cui analizza l’operato del Club di Roma, riconoscendone alcuni pregi, come quello di avere messo in discussione il mito dello sviluppo materiale illimitato. Del resto in quegli anni (il libro esce nei primi anni ottanta) era già in atto nella società una contestazione dei postulati della crescita illimitata, dell’efficienza garantita dalla tecnologia e dell’assenza di ostacoli insuperabili per il dominio dell’uomo sulla natura, che erano al centro del modello di sviluppo della nostra società. Il messaggio del Club di Roma ebbe molta risonanza , sia grazie al supporto dei media, visto che era un’iniziativa che nasceva da un dirigente Fiat, ed anche per essere una risposta ad un ansia che si annidava nella società, oramai si manifestavano le conseguenze evidenti di un modello di sviluppo non sostenibile a lungo termine.
La coscienza e la mentalità collettiva erano in un processo sommerso di cambiamento di sensibilità in relazione all’ambiente e il Club di Roma coglieva questa ansia, proponendo un nuovo mito che potesse rispondere e dare una via d’uscita alla situazione di crisi.
Certamente cogliere un ansia e cercare di porre nell’immaginario collettivo una via di uscita può essere fatto per diversi scopi, ed è su questa riflessione e critica che si dispiegano le analisi e le considerazioni del libro.
Estrarrò in modo grezzo la questione dei Miti, affrontata nel libro, tralasciando molto altro, con l’interesse di aiutare il lettore a riconoscere questi Miti che tanto si prestano a rispondere alle crisi epocali, come spesso succede la loro diffusione tramite i media avviene quando non creano problemi a di chi mette tanta energia nel divulgarli.
Il Club di Roma si coagula nel 1968, ispirandosi ad un discorso del 1965 di Aurelio Peccei, un industriale italiano, a cui si aggiunse come co-fondatore Aolexander King allora responsabile scientifico dell’OCSE, con il supporto della Fondazione Agnelli. In quell’occasione nell’aprile del 1968 a Roma, grazie alla collaborazione di questi soggetti, si riunirono trenta tra scienziati, industriali ed economisti che diedero il via a quello che verrà chiamato il Club di Roma.
L’autore del libro Philippe Braillard insegna/va Teoria e Sociologia delle relazioni internazionali all’Institut Universitaire de Hautes Études Internationales di Ginevra e all’Università di Losanna.
Nel 1980, quando uscì l’edizione francese del libro (“L’impostura del Club di Roma”) l’allora presidente del Club, Aurelio Peccei ed altri tre collaboratori scientifici del Club si opposero che nel libro si citassero porzioni dei testi prodotti dal Club. Fu un assaggio concreto del livello di apertura del Club relativamente alle critiche ed analisi da parte di altri.
Nel 1972 venne pubblicato il primo rapporto del Club di Roma intitolato I Limiti della Crescita ( The Limits to Growth) in cui venne criticato il mito del progresso consentito della scienza e dell’industria che aveva mostrato i suoi frutti ammirevoli nella ricostruzione post bellica e nel boom economico. Ad onor del vero aveva accompagnato l’umanità anche nella fase precedente nella distruzione generata dalle guerre mondiali. Il Club di Roma voleva mettere in guarda dallo sviluppo incontrollato e dallo sfruttamento della natura senza limiti, indicando appunto che la crescita non poteva essere illimitata, anzi prospettando una catastrofe se non fosse stata corretta la rotta. Certamente in qualche maniera questo “mito della catastrofe” non nuovo nella storia dell’umanità, poteva svolgere la funzione di correggere la rotta del precedente mito che sussurrava che l’umanità, il mercato, autoregolandosi, avrebbe automaticamente portato prosperità per tutti, dove anche l’operato degli egoisti e sfruttatori avrebbe portato beneficio agli sfruttati e ai più deboli.
Se il mercato non si fosse interessato alla natura, la catastrofe , annunciata nel mito, sarebbe stata anche quella del mercato. La proposta di azione del Club di Roma non era un progetto lanciato dal basso, dai più deboli, motivato da un sincero interesse per un profondo cambiamento del modello sociale e nelle scala dei valori, per risolvere le contraddizioni di fondo in seno alla società, ma era un progetto spinto dai più forti del periodo ovvero gli industriali. Il progetto era reso autorevole dal supporto degli scienziati che incarnavo i prodigi della tecnologia, in continuità con il mito precedente.
Secondo gli assiomi del liberismo il mercato avrebbe dovuto auto-correggersi per evitare di scomparire insieme con la distruzione irreversibile della natura e del pianeta. Questi Club si è sempre auto-definito come al di la delle parti, ovvero al di là delle classi al potere, di quelle dominanti e di quelle dominate, ovvero al di là della politica. Per cui l’operato del Club di Roma ha sempre millantato di essere interessato genuinamente alle sorti della specie umana.
Le analisi del club sono state prodotte con differenti livelli di profondità e dettagli, caratterizzate da una forma descrittiva neutra ed ignara dei reali rapporti di forza di potere che avevano trascinato e portato l’umanità sino alla situazione catastrofica che il Club stesso denunciava e voleva superare.
Il Club di Roma fu supportato sin dall’inizio dalla grande industria ed infatti il Club ergeva le multinazionali ai soggetti “apolitici” ideali che potevano salvare il pianeta dalla catastrofe, in quanto sarebbero stati i soggetti più adatti per gestire gli interessi del pianeta, superando le barriere delle differenti sovranità e confini nazionali. Nel mito proposto “il salvatore” era qualcosa che non doveva passare il vaglio democratico, che non doveva essere legittimato od eletto, anzi gli Stati anche quelli democratici non avrebbero mai risolto il problema in quanto era un problema globale e chi meglio di organizzazioni non politiche ed internazionali, non interessate all’orticello dei confini poteva risolvere il problema? Che fortunata coincidenza.
Cosicché proprio i gruppi di potere che tanto avevano beneficiato dallo sfruttamento della natura e del lavoro umano, del mercato globale, causando la devastazione che il Club denunciava, sarebbero stati coloro che salvavano la situazione, non esplicitando l’interesse del mercato nel tentare di sopravvivere alla alla catastrofe. Quindi le analisi fatte dal Club non avevano come interesse identificare i livelli di responsabilità di chi aveva prodotto la situazione ma insinuare che la responsabilità fosse di tutta l’umanità nel suo insieme e che la soluzione dovesse arrivare dalla collaborazione di tutta l’umanità accettando le ricette neutre e per il bene della specie, sempre dirette da quei gruppi di potere che non andavano messi in discussione.
Erano i prodromi della tecnocrazia, che poi si sarebbero sviluppati e poi prosperarono negli anni a seguire, dove è stata denigrata la politica rappresentativa e democratica, elevando a salvatori i “migliori” tecnici , promuovendo i governi dei migliori (governo dei migliori=aristocrazia).
La tecnocrazia suggerita dal Club è mondiale e deve pianificare un nuovo equilibrio mondiale basato sull’efficienza, non curante della dimensione politica e conflittuale dei problemi, non è più la ideologia tecnocratica trionfalista dell’epoca delle società opulente ma una gestione rigorosa e razionale di un pianeta in crisi. Il carattere emergenziale della catastrofe imminente diventa l’eccezione per conferire tutti i diritti e poteri dell’umanità ad un governo mondiale dei cosiddetti “migliori”.
L’umanità si nutre inevitabilmente di miti, elementi essenziali per il suo progresso. Ogni disciplina umana ne è permeata, incluse le scienze, spesso considerate terreno esclusivo di tecniche e strumenti. Tuttavia, anche le produzioni scientifiche, che si auto-definiscono tali, dovrebbero ricordare ciò che le caratterizza: la loro fallibilità, ossia la possibilità di essere confutate e superate da nuovi programmi scientifici. Affinché una teoria possa essere confutata, è fondamentale che tutti i dati e i procedimenti utilizzati siano resi pubblici, consentendo così ad altri scienziati di verificarne la validità, in particolare per quanto riguarda le capacità predittive. Naturalmente, esistono diverse sfumature e visioni tra scienziati e filosofi della scienza in merito agli obiettivi e ai metodi della ricerca scientifica.
Nei vari rapporti prodotti dal Club di Roma, menzionati nel libro, si riscontrano approssimazioni grossolane rispetto all’analisi ed ai fattori che hanno prodotto le crisi denunciate, con grandi vuoti quando si tratta di individuare responsabilità dei vari gruppi di potere sia politico, economico o finanziario. Nel contempo non ci sono argomentazioni serie che giustifichino perché gli stessi manager dovrebbero guidare questo processo di cambiamento nel modello di sviluppo piuttosto che le democrazie. Le argomentazioni scientifiche che dovrebbero giustificare le conclusioni operative per risolvere la situazione, sono spesso lacunose con dei salti “irrazionali” guidati dai miti di sfondo.
Nel nuovo mito del progresso tecno-scientifico che il Club di Roma si è fatto portatore in questi decenni, gli Dei ed i superuomini sono i manager e le organizzazioni industriali multi-nazionali, era forse qualcosa di nuovo negli anni ’80 ma ad oggi è qualcosa ormai ritrito, infatti negli ultimi decenni questi “migliori” hanno guidato la società che ha visto esplodere e moltiplicarsi crisi economiche, politiche e sociali. Proprio perché queste entità (le élite sociali) si sono messe alla guida della società .